mercoledì 28 febbraio 2007

ti amo


forse
dovrei dirtelo
ma troppo tempo
è passato

forse
dovrei prenderti
le mani
tra le mie
e
stringerle

forse
potrei convincerti
ma
a cosa servirebbe
dirti ancora
una volta

ti amo

dopo

dopo l'amore
cosa rimane
dopo l'amore
cosa viene
dopo l'amore
arrivi tu
tristezza

lunedì 26 febbraio 2007

occhi

se ti guardo
nulla mi sfugge
se ti guardo
gli occhi tuoi mi parlano
quando ti guardo
parole non trovo
per dirti
che
gli occhi
tuoi
sono
gli occhi miei
innamorati

tristezza


I
Un mare
terso
di fronte a me
un cielo
di nuvole
con te

Sospiro
di aria fresca
dolce sorriso
uno sguardo di gioia
e poi
silenzio

Rumore di onde
che sciacquano tenui
sabbia su sabbia
che scorre
come il tempo
che ho diviso con te
tra le dita

Palme odorose
fibre
lontane
spezie
nel caldo
ricordo
non fu

II
Eppure quell’acqua
ancora mi bagna
tiepida
l’animo
con i ricordi di mai

Rena bagnata
di sale
di sole
un sorriso d’amore
un abbraccio infinito
non fu
eppure
il mio cuore
da sempre sognò
quel sorriso d’amore

III
Da solo cammino
con te nel mio cuore
con l’anima a pezzi
non so dove andrò

Il mio sguardo d’intorno
accarezza
un paesaggio
un sogno
con te

Uno sguardo felice
una mano stretta
una carezza
un bacio
mai dato
un sogno
mai stato

IV
Rumore di onde
che frangono
potenti
come maglio
d’acciaio su acciaio
gocce
come scintille
dolore
come fuoco che brucia
il mio amore per te
che non volesti
che non vuoi
perché
hai deciso
così

Tu hai deciso
io
rimango a guardare
le onde
che frangono
con rumore
sul dolore mio

V
Ho cercato riparo
tra le pietre
dei dispiaceri
un luogo
da solo
dove nascondermi
da tutti
per sempre
e non tornare mai più

VI
Sogno di un sogno
che non fu
che mai sarà
dimenticato
da dimenticare
perché
troppo dolore
è
il ricordo di ciò che non fu

Ho preso con me
le cose più care
sono fuggito dove voi
non potrete trovarmi

Un luogo lontano
senza l'incanto
abitato solo
dai ricordi
dalle gioie passate
dove il dolore di oggi
accesso non ha

Ho nascosto le pene mie
non le vedrete più
non vedrete più me
non voglio vedere più voi

VII
Fuggo, lontano
mi nascondo agli occhi
di chi
furbo
cattivo

spietato
ha pensato
di poter decidere
della vita mia

Fuggo da tutto e da tutti
non chiedo più aiuto
non do più aiuto
fuggo
come cane che fugge

Non conosco più
chi bene
e
chi male
indifferenza
fuggo

VIII
Da soli si fugge
per non tornare mai più
per non essere nulla
per non avere nulla
ma solo possedere
tutti
i sogni sognati

Tramonta già il sole
su un sogno finito
su un sogno mai stato
su noi che non siamo
su te che sei
già lontana da me

ridi

ridi
se puoi
quando
penserai a me

ridi
dolce amore
quando
gli occhi tuoi
incontreranno
nei sogni
i miei

ti prego
ridi
perchè
se tu non ci sarai
avrò per sempre
il riso tuo
ad illuminare
il ricordo
di noi

Racconto per un amico

Eccomi pronto a partire per la settimana bianca... sette giorni in cui potrò dedicarmi allo sport, respirare un pò d'aria buona e dopo la doccia serale dedicarmi a leggere un buon libro. Era d'obbligo, quindi la passeggiata in libreria. Non avevo in mente nulla di preciso, anzi a dire il vero di libri da leggere ne avevo, ma non potevo certamente perdere un'occasione così ghiotta per comprarne ancora. Girovagavo tra gli scaffali odorosi del mio paese dei balocchi, quando due occhi meravigliosi mi urlano qualcosa dalla copertina di un libro che non avevo notato prima: Halina Poswiatowska - Racconto per un amico. Prendo in mano il libro, lo volto e leggo: "Halina Poswiatowska nacque nel 1935 e morì nel 1967 - rapido calcolo utilizzando le dita e sono solo 32 anni! - in Polonia, all'età di trentadue anni - Appunto! - Era una grande poetessa, amata e venerata dai giovani del suo paese, che un cuore fragile, per un'angina curata male in tempo di guerra, sottrasse troppo presto alla letteratura polacca ed internazionale. Racconto per un amico apparve pochi mesi prima della sua morte [...]. La poetessa polacca narra della sua esistenza ad un amico cieco, presenza costante, protettrice e ammonitrice... Insomma lo compro. Non fosse altro perchè gli occhi in copertina sono proprio quelli di Halina.
Il libro viene iniziato il sabato sera e terminato nelle due serate successive. E' vero: è un romanzo autobiografico: è la storia di Halina dalla sua infanzia fino a qualche mese prima della morte, ma è molto di più: è l'inno alla vita che tutti dovrebbero leggere. E' la vita stessa che si fa scrittura, è la gioia di respirare, la gioia di amare e di sentirsi amati contro tutti e contro tutto. Leggendo queste pagine il cuore batte all'unisono con quello malato di Halina. Ci sono volte in cui il suo senso di soffocamento sembra essere contagioso. La sua voglia di amare diviene la tua voglia di amare.
"Camminando in quel pomeriggio di sole sotto i rami bassi degli alberi, capivo solo che il mio nuovo amico era triste e che né il prato, con il suo profumo più intenso all'imbrunire, né le folli giravolte del ballo, né i baci riuscivano a dargli piacere. Decisi di insegnargli la gioia."
Halina Poswiatowska mi ha trascinato nella sua esistenza, facendomi comprendere, una volta di più, quanto poco importanti siano certi affanni di tutti i giorni di fronte alla grandezza della vita, alla possibilità di poter affrontare ogni nuovo giorno senza dover fare i conti con la spada di Damocle di una malattia. Ma forse, ancora di più, come si possa affrontare la vita, ogni giorno, sapendo che se la morte è in agguato dietro l'angolo ognuno di noi è chiamato ad arrivare a quell'angolo con la fronte alta, senza paura, vivendo tutto l'amore, anzi scusate, l'Amore, che possiamo senza arrenderci un solo minuto, anche perchè: "Resterà tutto uguale quando non ci sarò più? I libri si disabitueranno al tocco delle mie mani, i vestiti scorderanno l'odore del mio corpo? E le persone? Per un pò parleranno di me, si stupiranno della mia morte, poi dimenticheranno. Non illudiamoci, amico mio, la gente ci seppelisce nella memoria tanto in fretta quanto seppelisce sottoterra i nostri corpi. Il dolore, l'amore, tutti i desideri se ne vanno con noi senza neanche lasciarsi dietro uno spazio vuoto. Non esistono spazi vuoti sulla terra."

Racconto per un amico di Halina Poswiatowska (Neri Pozza)

venerdì 16 febbraio 2007

mentre dormi


sciolti i capelli
sulle spalle languidi
la pelle tua
accarezzano

seguo con sguardo
d'amore
la curva dolce
della schiena
conosciuta

nuda
dormendo
regali
al mio sogno
la forma
della realtà

vicino
sento
di respiri
il profumo
e di amore
mi avvolgo

strade

cammino
per il lungo
di questa strada
di città
che lascia tracce
di nero
sui vestiti

cammino
perchè
non so
dove andare
e perchè
forse
non voglio arrivare
da nessuna parte

cammino
sui miei piedi
che sono miei
solo per caso
perchè così
destino
ha voluto

cammino
quando
sono stanco
e quando
tutti gli altri
intorno
a me
decidono
di fermarsi

martedì 13 febbraio 2007

disegno


S
E
N
T
O
di Amare
TALMENTE TANTO
TUTTE
le
l e t t e r e
delle tue parole
c
h
e
le faccio mie
e
le
DISPONGO COME
più piace a
M
E

perchè così sarò felice
anche
senza
di
te

(... se mi leggesse Perec!)

lunedì 12 febbraio 2007

Padrona e amante

Di chi parliamo quando parliamo di padrona e di amante? Anche appena terminato di leggere questo romanzo che per mille motivi ho amato mentre lo leggevo, momento dopo momento e che continuerò ad amare per sempre, continuo a chiedermi: ma la padrona e l'amante del titolo chi sono nella trama coinvolgente del romanzo?
Se dovessi azzardare una prima ipotesi direi che la padrona e l'amante è la danza kathakali per l'anziano Koman, colui che cuce la storia. Koman è lo zio anziano, uno dei grandi interpreti di questa antica arte indiana. Koman ci racconta la sua storia, passando per la storia della sua arte.
Poi mi fermo un momento a pensare e scopro che la padrona e l'amante di questa storia è la modernità che avanza in un paese che è ancora pericolosamente in bilico tra le tradizioni secolari che lo caratterizzano ed una modernità globalizzante che lo attenaglia, che lo avvolge tra le sue spire. Una modernità che il grande sociologo Baumann definisce "liquida". E' un divenire pericoloso che lascia coloro che vivono il momento assolutamente disarmati. Quindi la giovane Radha, bella donna indiana, benestante, proprietaria con il marito di un piccolo paradiso per turisti, si trova a combattere tra una tradizione che la vorrebbe silenziosa accanto al marito e un amore nuovo che sa di occidente, di nuovo e di emancipazione: Chris, in India per intervistare appunto l'anziano zio.
Modernità indiana con la mano tesa di Radha e il namaste impacciato di Chris al loro primo incontro alla stazione, che si ritrasformano nel saluto inverso delle rispettive tradizioni in un intreccio confuso di emozioni.
Ma padrona e amante non è la stessa Radha nei confronti del proprio marito che la vorrebbe sottomessa, ma che rimane sottomesso dalla bellezza disarmante di lei e dalla sua incontenibile voglia di emancipazione?
Un racconto pieno di vita, scritto con sapienza e costruito sulle diversità che si compenetrano, sull'amore che si trasforma e per l'amore che rimane inossidabile nel tempo contro tutti.
Un libro da leggere e da tenere vicino per una settimana una volta terminato, perchè le domande che suscita non terminano certamente alla parola fine.

Padrona e amante di Anita Nair (Neri Pozza)

giovedì 8 febbraio 2007

nulla


sorveglio il soffitto
tra le note
silenziose
di una notte
lunga
cerco nel cuore
tra le pieghe
dolorose
un amore
finito
scopro nelle mani
tra le dita
intirizzite
un vuoto
immenso

semplicemente

non ho scorza
come frutto
di polpa
così mi sento
non ho spine
come fiore
colorato
mi voglio vedere
qualcosa
che non dico
la tengo stretta
dentro il cuore
perchè
dirla
farà più male

lunedì 5 febbraio 2007

mare

eccomi
di fronte a te
mare
mio mare
azzurro splendente
di spuma
bianca
ardente
duelli
di acque contro venti
eccomi
pronto a donarmi
con animo di sfida
e cuore prono
di fronte a te
insegnami
la tua forza
dolce mare

domenica 4 febbraio 2007

verità

Quando ti avrò ascoltato
per l'ultima volta
quando mi avrai detto
ancora una volta
che d'amore non si muore
chiuderò gli occhi
e dormirò
perchè
quella
sarà stata
la tua prima
verità

Dell'odio, dell' Amore

Il ticchettio ritmico della pioggia, che si appoggiava prepotente alla ringhiera celeste del tuo balcone, ti aveva svegliato nel cuore della notte. Era la prima vera pioggia di quell'inverno ritardatario e pigro. Il gelo che ora fischiava tra le fessure della finestra ti entrava nelle ossa, regalandoti un brivido maligno.

Continuavi a pensarci, anche se avevi fatto di tutto, se ti eri detta tutto quello che ti potevi dire, se ti eri raccontata tutto quello che potevi raccontarti, continuavi a pensarci. Continuavi a pensarlo, ad amarlo, ad odiarlo. Nessun sentimento era escluso. Riuscivi ad odiarlo e un secondo dopo provavi una stretta sincera allo stomaco se qualcosa ti riportava alla mente una sua frase o un modo di fare. Proprio ieri sera, mentre preparavi la cena, Marta era lì dietro di te che pigolava felice, e tu, come al solito, rimestavi nell'odio che ti eri costruita nel cuore tra i piatti e le posate, elencandoti tutti i più giusti motivi per tenerlo lontano; all'improvviso, la piccola, giocando, aveva detto una frase che ti aveva bloccato il respiro per un attimo. Aveva usato le sue stesse parole, quelle parole che dette da lui, decine di volte ti avevano riempito il cuore. Allora come adesso.

Lo rivedevi, con il suo sorriso sincero e aperto aspettarti all'angolo di quella che era divenuta con l’abitudine la “vostra” strada. Seduto su quel muretto di quella via sconosciuta, dietro quel parco cittadino che lui amava tanto. Sentivi il suo profumo mentre si avvicinava per baciarti il collo. Lo vedevi, felice come un bambino, mentre ti guardava aprire il regalo che aveva comprato per te.

Ora, persa nei silenzi immensi di questa piovosa notte romana, guardi fuori dalla finestra del salone, sorvegli dall'alto questa città enorme, mai silenziosa. Nonostante il tempo inclemente e l'ora tarda le automobili continuano a disegnare strisce luminose con i loro fari sull'asfalto bagnato. Lunghe strisce bianche se guardi le auto che provengono da una direzione e rosse se ti concentri su quelle che si dirigono nella direzione opposta.

Ci stai pensando di nuovo. Vai in cucina, cercando di non fare rumore. Socchiudi la porta scorrevole. Dalla credenza in alto afferri il pentolino, apri lentamente il rubinetto dell'acqua e lo riempi per metà. Asciughi con cura quelle poche gocce che sono schizzate sul piano di acciaio del lavello. Accendi il gas e rimani lì ad aspettare che l'acqua inizi a scaldarsi appoggiata al tavolo, cingendoti con le braccia le spalle cercando di scaldarti più l’animo che il fisico.

La fiamma azzurrina che brilla e il sibilo sommesso del gas sembrano parlarti.

Il silenzio di questa casa che hai sempre amato non ti è apparso mai così cupo e minaccioso.

C'è stato un tempo, appena sposata, in cui ti piaceva rimanere sveglia nel silenzio della notte. Ti svegliavi, nuda nel letto. Al tuo fianco lui dormiva. Rimanevi ferma ad ascoltare il suo modo di respirare, dopo aver fatto l'amore con te. Dormiva e tu eri felice di saperlo felice, sapevi di avergli regalato una parte di te, del tuo cuore, del tuo corpo, con la passione che ti piaceva dimostrargli. Ti ricambiava, alla sua maniera, come sapeva fare, come fanno molti uomini, ma era felice. Questo tuo uomo, questo compagno che avevi sentito tuo da sempre, perché il suo amore era stato il tuo dal primo momento, lo avevi desiderato subito. L’amore che ti univa a lui era grande, forte, senza compromessi e riempiva tutti i momenti, i pensieri.

Una notte d’estate era nata Marta, dono desiderato e in quel preciso istante avevi raggiunto l’apice, il culmine, l’apogeo della felicità. Non potevi desiderare altro. I tuoi sorrisi si erano moltiplicati, l’amore per lui era raddoppiato, triplicato, centuplicato. Il sogno diveniva realtà: l’amore, una casa, una figlia. Tutto brillava di una luce speciale che faceva del tuo mondo, tutto il mondo. Nulla avrebbe potuto mai intaccare questa felicità. Nulla, tranne una sottile sensazione. Giorno dopo giorno, qualcosa ti turbava sempre più. Ti eri accorta che mancava qualcosa; qualcosa che all’inizio non eri riuscita a mettere a fuoco. Marta cresceva e il tuo corpo ricominciava a prendere le sue forme, il tuo seno aveva riacquistato il suo disegno perfetto, il ventre si appiattiva e i capelli avevano assunto nuovamente i loro riflessi brillanti. Eri di nuovo bella, bella come quando lui ti aveva conosciuto. Ma con il trascorrere dei mesi avevi capito: si era allontanato, ti evitava. Sembrava temerti, evitava quell’amore enorme che univa la figlia al padre e questa alla madre senza alcuna soluzione di continuità, almeno nella normalità. In quella che tu credevi dovesse essere la normalità dell'amore. Andava a letto prima di te o si attardava di fronte a programmi che non aveva mai guardato. Non c’era più un complimento, quel bacio non richiesto. Non c’erano più i suoi teneri abbracci. C’erano, invece, sempre più ritardi, sempre più cene con gli amici. Partite da giocare e ostinati silenzi che avvolgevano le ore che trascorreva di fronte ad uno schermo pieno di sport. Le domeniche si sfilacciavano lente con un lui sempre più preso da giornali finanziari, computer e conti. Sottrazioni, addizioni, calcoli di interessi. Fondi di investimento, azioni, Bot, Cct. Se l’operazione fosse andata a buon fine avreste comprato una macchina nuova, un motorino nuovo o addirittura una casa nuova, continuava a ripetere con quel modo saccente da ragioniere. Purtroppo, avevi compreso, nessun gioco finanziario avrebbe potuto farti riacquistare il suo amore, i suoi abbracci, le sue carezze, la sua voglia di far l’amore con te.

Avevi pianto in silenzio, quando nessuno ti poteva vedere. Non avevi detto nulla a nessuno. Avevi costruito una maschera felice senza macchia. Non avrebbe giovato chiedere aiuto a qualcuno.

Sei tornata in ufficio. Hai iniziato la nuova vita della mamma lavoratrice in una grande città: lasciare la bimba la mattina, correre in ufficio, approfittare della pausa pranzo per fare la spesa, arrivare alla fine della giornata di lavoro, scappare a riprendere la piccola, di filato a casa, preparare la cena, prima per Marta, poi per voi. Una cena da consumare in silenzio con la banale scusa della bimba che dormiva a farvi compagnia. Sistemare la cucina, mettere finalmente a letto la bambina e quindi trovare anche lui già addormentato, magari sul divano del salotto. Rimanevi in silenzio, intontita dalla stanchezza, dalla delusione, dalla rabbia, dalla voglia di prenderlo a pugni, di piangere, di baciarlo, di fare l’amore con lui.

Sono passati gli anni in questo modo, Marta è diventa sempre più grande e tu chiudi i tuoi desideri sempre più in fondo al cuore, dietro quella maschera sempre più amara e facile da indossare. Lui continua ad accumulare i suoi risparmi per la famiglia e guarda la partita il mercoledì sera. Tu lavori, cucini, accudisci la bimba, sistemi casa: tutto normale. Tutto routine.

Fino al giorno in cui lo incontri. Ti ha guardato dritto negli occhi, solo un attimo, solo un secondo. Forse è arrossito, ha abbassato lo sguardo ed è scivolato via senza dire nulla. Lo hai seguito con lo testa mentre attraversava la porta dell’ufficio. C’erano stati altri incontri, sempre simili al primo. Una volta ti aveva anche sorriso, nulla di più, ma quel sorriso sincero e tenero ti aveva illuminato l’intera giornata. Hai dovuto fare la prima mossa, hai chiesto il suo nome al portiere che passando salutava sempre, lo hai cercato nell’elenco aziendale e lo hai invitato a prendere un caffé. Ha accettato ridendo il tuo inaspettato invito.

È stato amore, pazzesco, dolce, divertente, senza nascondimenti. Solo amore. Era tutto perfettamente semplice. Nulla era come avrebbe dovuto essere, se non la voglia di stare insieme, di parlare, di condividere i libri, le poesie, la musica, l’amore che rubavate agli altri, quando sareste dovuti essere da un’altra parte. Quando tutti sapevano che eravate in un luogo dove invece non c’era nessuno.

I tuoi occhi incontravano i suoi, le sue carezze ti riempivano di gioia, i suoi baci, dietro l’orecchio destro, in quel posto che rimarrà per sempre suo, ti facevano rabbrividire e ti riempivano gli occhi di lacrime. Quei momenti, rubati al tempo degli altri, avresti voluto non finissero mai, lo avresti tenuto per sempre stretto a te. Lo amavi come forse neanche lui aveva mai capito. Era speciale, particolare, dolce, forte, capace di gesti semplici che ti riempivano la vita. Sapeva parlare per ore, senza smettere, riusciva ad immaginare una vita che non avreste avuto mai. La viveva quella vita, facendotela vivere tra le sue parole, portandotici dentro, come quando ti faceva correre sulla sua moto. Sicuro, veloce, tenero, quando affrontava una curva, scalando la marcia e accelerando di nuovo per ritrovare il lungo rettilineo.

Così erano i suoi racconti le sue fantasie e tu ti lasciavi scivolare dentro, chiudevi gli occhi e vivevi con lui quella gioia infinita, fatta di sogni, di realtà che potevano essere vere solo a metà. La sua gioia, la voglia di vivere, le piccole manie e le sue idiosincrasie si propagavano in te, donandoti una dimensione nuova. Era tutto nuovo, riusciva ad anticipare desideri che scoprivi di avere solo dopo che lui li aveva soddisfatti. Si avvicinava a te, sempre come se fosse la prima volta. Ti eri accorta, standogli vicino, che gli batteva forte il cuore, che le sue pupille si dilatavano leggermente se ti si avvicinava. Adoravi guardarlo, sentirti toccare dalle sue mani. Il suo profumo ti rimaneva incollato per ore, quando vi lasciavate. Sapevi di essere una bella donna, te lo facevano capire gli sguardi degli uomini quando camminavi per strada, quando ti si affiancavano al motorino, ma sentirtelo dire da lui, così come lo diceva lui: con quell’amore da bambino, con il suo sorriso da uomo, era gioia pura. Ti sentivi bella, eri bella, di nuovo bella, di nuovo desiderata.

Una vita segreta fatta di un amore di parole, che riempivano i messaggi quando la vita reale vi teneva lontani. Sotterfugi da adolescenti per leggere un amore annunciato da una piccola vibrazione del cellulare tenuto nascosto sotto il cuscino. L’attesa impellente di un minuto da sola per trovare il calore dell’amore sul display colorato di blu.

Non avevi più voluto vederlo; non lo volevi più vicino a te. Non gli avevi neanche detto perché. Una frase falsa, tanto per allontanarlo. Avevi chiuso gli occhi e con essi il tuo animo. Non lo volevi più. Aveva fatto di tutto: ti era corso dietro, ti aveva pregato, aveva pianto. Non lo volevi più accanto a te. Ti aveva scritto, telefonato, ti aveva seguito, perseguitato. Non lo hai più voluto vedere. È finita, e questo è tutto.

Era stato dolce, aveva provato la comprensione, l’ira e le urla. Non capiva, ma a te non importava. Lo guardavi, con la tua maschera di nuovo sul viso. Stringevi le labbra e alzavi le spalle senza rispondere. Gli occhi suoi rossi dal sonno che non riusciva a prendere, incrociavano l’azzurro dei tuoi che lo squadravano decisi. Giornate intere a dilaniarsi le anime e i cuori.

Lo incontravi in ufficio, incrociavi il suo sguardo pieno di rancore, di dolore, di amore. Non ti ha più parlato, non c’è più riuscito. Ha inventato anche lui il suo modo per allontanarti, ha inventato un nuovo mondo senza te.

Ti riscuoti, una lacrima scorre lentamente sulla tua guancia. La tazza del caffé, ancora piena, si è ormai raffreddata. Guardi fuori, piove ancora. Ancora silenzio, ancora notte. Non avrebbe potuto capire, non poteva capire. Nessuno avrebbe potuto comprendere. Non c’era nessuno a chi avresti potuto spiegare. Avevi deciso tutto da sola, avevi fatto tutto da sola. Era bastato poco. Un po’ di coraggio.

Avevi sepolto di nuovo tutti i tuoi desideri in fondo al cuore, lo avevi chiuso a doppia mandata. Avevi distrutto tutti i ricordi, le sue fantasie. Avevi gettato via i suoi libri, la sua musica, le sue poesie. Ora lo odiavi. Lo odiavi con tutto il cuore, perché ti aveva insegnato a sognare di nuovo e ti aveva di nuovo fatto sentire bella e desiderata. Ti aveva ricordato come ci si sentiva ad amare ed essere amata. Lo amavi.

Lasci la tazza del caffé sul comodino, a fianco al letto, poggi lentamente la testa sul cuscino. Tuo marito respira lento voltato dall’altra parte. Guardi la sua schiena. Senti Marta girarsi nel lettino, borbottando qualcosa nel sonno, nell’altra stanza.

Ti rannicchi in un angolo nel letto, chiudi gli occhi ormai pieni di lacrime e pensi che nessuno saprà mai che aspettavi un figlio da lui.

venerdì 2 febbraio 2007

il giro del mondo in moto

Marco Deambrogio tipo dalla faccia simpatica che già dalla copertina ispira voglia di bersi una birra insieme. Uno che si è attraversato mezzo pianeta in auto, sugli sci, a piedi. Uno di quelli che definirei "un tipo fico". Un titolo del genere poi, ieri, non poteva non attrarre la mia curiosità su quello scaffale della libreria. A dire il vero ho comprato il libro, quasi senza guardare di cosa parlasse, anche perchè il titolo parla da solo...
Sono bastate poche pagine, quelle fino ad ora lette, per rendermi conto di una cosa: questo tizio parla la mia stessa lingua. Ci sono alcune righe che mi hanno veramente colpito, righe semplici, ma che dicono quello che io da sempre sento dentro: basta con l'ipocrisia di una società votata al consumismo, alla ricerca spietata del guadagno a tutti i costi, basta! Riprendiamoci la nostra vita e cerchiamo di conoscere il resto del mondo per conoscere il resto degli uomini che vivono su questo pianeta, senza pregiudizi, senza prevenzioni. Viaggiamo e conosciamo. Questo signore lo ha fatto, e da solo si è attraversato il mondo con solo due ruote, avventurandosi su strade che proprio facili non devono essere state, da solo.
Abbiamo lo stesso anno di nascita, amiamo gli stessi poeti visto che sul suo sito (http://www.marcodeambrogio.com) Marco come presentazione ha riportato alcune parole fantastiche di Pablo Neruda. Non so se significhi qualcosa, ma sicuramente almeno nell'animo ci assomigliamo, nella voglia di partire, di andare lontano.
Sottolineavo il fatto che Marco ha affrontato in solitario questa impresa, perchè qualche tempo fa, rimasi colpito dalla notizia che Ewan McGregor (Moulin Rouge, Guerre stellari) aveva compiuto una simile impresa in compagnia di Charley Boorman (The bunker, On edge). Comprai il libro appena uscito "The long way round" (Mondadori). Ebbene il giro del mondo, completamente sponsorizzati, era stato compiuto si in moto, ma con due (DUE) fuoristrada di appoggio che li seguivano dappresso, cameramen, organizzazione worldwide... insomma una miserrima operazione economica, con tanto di partenza strappalacrime dalla loro amata Scozia... Ho mollato di leggere il libro a metà dalla rabbia.
Tornando al nostro Marco, invece, da quello che fino ad ora ho capito l'avventura c'è e si vedrà...

Il giro del mondo in moto di Marco Deambrogio (Sperling & Kupfer)

foto

c'è una foto
che parla di te
una foto
che non ho
ma parla di te

viraggio seppia
che parla di te
che non ho
dei sorrisi che ho perduto
tra i chiaro scuri
graffiati
della foto
di te
che non ho