giovedì 25 ottobre 2007

Se mi addormento



vento caldo
che muove tende
assopite
nel silenzio della stanza
sul mare

colori tenui
come l'animo mio
oggi
sugli archi
della veranda

cuscini sparsi
aria di salsedine
nuvole d'estate

con gli occhi di lei
sul sorriso di sempre
mi guarda
poi di colpo
è di nuovo notte

martedì 4 settembre 2007

tempesta

quando il silenzio
urla come vento
diviene pioggia
senza tregua
quando senza senso
il tuono rimbomba
contro montagna
invalicabile
stringo forte il pugno
e scrivo
nell'aria scura
nella nube colma
le mie parole
per renderti lieve
l'affanno della corsa
per regalarti riparo
dal gelo
della solitudine

lunedì 3 settembre 2007

Scatti di Immenso - Manuale di Mari

Venite a trovarmi e lasciate un commento sul Manuale di Mari seguendo questo link: http://www.manualedimari.it/blog/autori/jetstream/3355#comments

Scoprirete un mondo di poesia e di persone che condividono il magnifico done dell' Amore per gli altri e per la scrittura.

lunedì 27 agosto 2007

Parlare di Te


quando i sogni
prendono il sopravvento
la ragione
annichilisce
di fronte l'emozione
di sentire la tua voce
sperando di ascoltare
le parole che non dirai mai
di rivedere quella luce
negli occhi tuoi
allora i sogni
prendono il sopravvento
e vorrei
parlare di Te

lunedì 9 luglio 2007

se faccio finta

dimmi tu da quanto tempo
non ti vedo più
non ti parlo più
dimmi tu
perchè
vivo ancora
se sei capace
dimmi tu
perchè
faccio finta
di non vederti più
di non parlarti più

mercoledì 6 giugno 2007

Nelle mani del vento - Nicla Morletti

Per la rubrica “Leggiamo Insieme”, ideata da Manuale di Mari, stiamo presentando “Nelle mani del vento”, il nuovo romanzo di Nicla Morletti.

“Nelle mani del vento” è anche il nome del nuovissimo Blog dell’autrice, dove si svolge la presentazione del romanzo.

Invito tutti a visitare il Blog dell’amica Nicla Morletti e lasciare un commento nel post di presentazione, dove è possibile leggere alcuni brani in anteprima ed ascoltare le letture proposte dall’autrice e da Robert di Manuale di Mari.

Per lasciare un commento CLICCA QUI.

venerdì 25 maggio 2007

se potessi dirti

ogni volta
che vedo te
ogni volta
che ascolto la tua voce
ogni volta
che il tuo profumo mi fa voltare
ogni volta
mi perdo
nel tuo sorriso
e
ogni volta
vorrei
poterti dire
che il sole
che il sale
che il mare
che il cielo
che il mio mondo
sei sempre
tu

venerdì 18 maggio 2007

Addio

Quando penso a Lei, tutto si confonde, tutto ritorna immerso in una nebbia fredda, dove i suoni giungono ovattati ed i contorni si fanno vacui. Se penso a Lei ancora non capisco, tutto si raffredda. Immoto. Senza sentimenti. Senza emozione. Eppure... quando pensavo a Lei tutto sembrava diverso, tutto sembrava possibile. Ogni cosa assumeva una forma nuova, più bella. Qualunque follia era ragionevole se c'era Lei.
Poi oggi ho ripensato a Lei. L'ho vista algida, distaccata, senza più luce nei suoi occhi così belli. Mi parla, ma non riesco a sentirla. Sono riuscito a dimenticarla - mi dico - ora non fa più male.
Bene!
Ma tutto è sempre lì. Nulla viene dimenticato. Come una ferita, come la sua cicatrice che per sempre ti ricorderà quel dolore. Non sai se fa più male ciò che ti ferì o il ricordo di esso. Come vino che invecchia nella cantina umida. Quando il tempo viene, la riscopri, la spolveri, rileggi sull'etichetta quella data immemore e alla luce soffusa decidi. Si apre con dolcezza quel vaso di Pandora che contiene tutto il dolore del mondo. Te lo gusti in silenzio, da solo, soffermandoti ad ogni sorso, per gustare il sapore del dolore, che guarda caso è rima baciata anche con Amore.
Una lacrima scorre lenta, non la rimpiangi, non fai nulla per fermare la sua corsa pazza lunga la curva dolce della guancia. Un lacrima si impiglia tra l'ispido della barba. Rimane ad asciugare piano, senza risentimento. Attende. Un'altro sorso a riscaldarti il cuore, mentri pensi a quell'abbraccio: il gelo di un abbandono.
Se penso a Lei, ricordo la paura. La paura di morire, la voglia di spegnere tutto.
Poi oggi ho ripensato a Lei, al suo viso così dolce in quel ricordo che porto con me, e invece duro e senza amore se lo guardo ancora. Voglia di sfuggire agli occhi, al cuore, alla parola. Se parlo non risponde, se guardo mi evita, se invito sussiegoso diniego.

Allora vuoto la bottiglia, mi gusto il fondo della bottiglia, sollevo in controluce il vetro opaco e penso ancora a Lei, alla luce della candela sollevo il mio bicchiere e bevo all'Amore che mi hai regalato.

Sogno


Il sogno... il mio sogno, quello dell'anziano sulla panchina del parco, il sogno del bambino, il sogno del tipo sull'autobus che guarda fuori dal finestrino, il sogno di chi piange alla stazione, il sogno di chi ha appena giocato la schedina. Il sogno ad occhi aperti, quando il mondo ti scorre dinnanzi finalmente non visto, per una volta non vissuto. Quel sogno di un minuto, fermo in macchina, dinnanzi a quel semaforo, che per fortuna non scatta.

Quel sogno che sempre abbiamo sognato, per ognuno un pò diverso, per tutti relegato nello stesso angolo di cuore: quello più in fondo, quello sotto a tutto, quello dove non guardi mai quando sei sveglio. Forse per codardia, forse perchè fa troppo male o semplicemente perchè il tuo sogno è lì ed è bello che esca dal suo rifugio solo e unicamente quando lo decide lui. Magari quando sei troppo giù per pensare ad altro, magari quando veramente non ce la fai più ad andare avanti. Quel sogno è il tuo segreto, la tua forza, la tua coperta di Linus, la nocciolina di Superpippo.

Il tuo sogno è quello che ti porta avanti, il Sogno è quello che porta avanti tutto il mondo: "I have a dream..." urlò qualcuno un pò di tempo fa, cogliendo di sorpresa i meno attenti, quelli distratti dal proprio egocentrismo. Non c'è cattiveria nel tuo Sogno. Il mio Sogno me lo sogno con la S maiuscola, grande, scritta in grassetto, contornata con i bordi d'oro. È il mio Sogno, quello che mi culla quando sono troppo stanco per dormire, per sorridere. Il mio Sogno ha gli occhi di un bambino, il cuore della mia donna innamorata, il profumo della terra dopo la pioggia.

È un Sogno semplice.

È il mio Sogno che da sempre sogno. Nel mio sogno ci sono tutti i colori, tutti i profumi, c'è il sale del mare che si secca sulla pelle, il sole che ti scalda quando passeggi in riva al mare. Nel mio sogno, c'è un cielo azzurro, una vela lontana che viaggia gonfia e felice. C'è un mondo... Mondo, dove le persone non hanno più memoria di quello che voglio dimenticare. Di sicuro, di certo, di assoluto nel mio Sogno non ci sono più lacrime di bambini.

lunedì 7 maggio 2007

contro

mi ha svegliato
di notte
la sensazione
di quest'ansia
che riempie
ogni angolo
del mio cuore
questa paura
inesplicabile
di vivere
contro
il mondo

venerdì 20 aprile 2007

inadeguato


inadeguatezza
disperata
di vita
troppo
breve
per essere vissuta
senza
conoscere
senza riconoscere
senza
provare
la sensazione
di
riscaldarmi l'animo
con la voglia
di amare

giovedì 19 aprile 2007

Musica

La luce del sole, ormai alto, filtra serpeggiando tra l’anta del balcone aperto e le tende bianche, di tessuto leggero che sembrano ballare un bolero silenzioso con l’aria che le attraversa.

Dal basso il rumore delle onde che continuano ad accarezzare i grandi scogli sotto la nostre finestra, si confonde con quello di una musica conosciuta, ma indistinta. La tua mano è appoggiata alla mia. La tua, scura, abbronzata, con le unghie lunghe e ben curate, la mia molto più chiara, con le unghie sempre rovinate e le dita un po’ storte. Mi giro piano ed una briciola, ricordo della colazione che ti ho portato questa mattina, mi solletica la spalla. Dormi ancora. Gli occhi chiusi, incorniciati da ciglia lunghe come il tempo ed il sorriso dipinto sul viso. La tua pelle scura, quasi quanto i tuoi capelli gioca un contrasto magnifico con le lenzuola bianche. Mi volto completamente e rimango folgorato dalla visione di Te. Sei li magnifica e bella, esattamente come ti avevo sognato, esattamente come il cuore mi diceva che doveva essere. Dormi tranquilla, tranquilla come una bambina. Dormi come sempre ti ho visto dormire: il viso di profilo sul cuscino, i tuoi capelli incoronano un viso che non dimenticherò per quanti anni vivrò ancora. Hai le mani infilate sotto il cuscino. Scorro con lo sguardo la tua schiena che disegna una dolcissima esse. La tua gamba sinistra è piegata verso l’alto mentre l’altra e distesa sotto il lenzuolo che lascia indovinare forme del tuo corpo che avrei voglia di scoprire ed accarezzare se non fosse per la paura di svegliarti dai tuoi sogni. Dormi ed è meraviglioso rimanere li a guardarti, a studiare la mappa dei tuoi nei. È meraviglioso essere li, dopo tutto quello che abbiamo vissuto in questi due giorni. Due giorni meravigliosi che abbiamo rubato ai nostri mondi estranei. Abbiamo rubato quarantotto ore al mondo che ci imprigiona. Abbiamo pregato perché tutto ciò si potesse avverare. Due giorni soli, rubati alla solitudine e alla voglia di amare e di sentirsi amati. Continuo a guardarti, non riesco a distogliere gli occhi dal confine chiaroscuro del segno del costume. Sono quasi ipnotizzato. Ti giri lentamente, emetti un gemito di sonno sommesso. Mi viene da ridere. Ora ti vedo di fronte: hai il seno scoperto. Sembri accorgerti di quanto sta accadendo. Apri un occhio e mi guardi. Il sorriso ti si allarga sul viso. Hai già capito tutto. Richiudi dolcemente l’occhio ed arricci un paio di volte l’indice della mano sinistra:”Vieni…”. Mi abbasso su di te e come al solito trovo il tuo abbraccio caldo ad accogliermi. Ti bacio le palpebre, la bocca, tu allunghi il collo porgendomi il collo, scendo lungo il tuo mento. Ridi, per il solletico che ti procuro con la barba ormai lunga. Il tuo profumo è una droga, o meglio il tuo odore mi ricorda il mare, la pelle dopo il bagno, quando il sale, lasciato ad asciugare al sole si incastona tra i pori della pelle. È un odore che ricorda la libertà, la gioia, il sorriso.

Mi stai guardando, come al solito sogno ad occhi aperti, sorridi, gli occhi tuoi sono teneri e pieni di amore. Con la mano destra cerchi il lenzuolo e lo tiri verso di te. Ti sei accorta di avere il seno scoperto ed arrossisci. Vorrei fare o dire qualcosa per farti capire quanto sono innamorato di te, ma non trovo nulla di meglio che rimanere in silenzio ed immobile, facendo scorrere il mio dito indice sul tuo braccio. Rimaniamo così ad ascoltare il frangersi delle onde ed il sussurro del vento tra le tende, il profumo di lavanda e cannella delle nostre lenzuola.

Mi sei mancata così tanto che ora non mi sembra vero averti qui tutta per me. Ora sei qui, vicino a me. Dolcemente tra le mie braccia, meravigliosa quando guardi ancora di sottecchi il mio tatuaggio.

Ci eravamo svegliati presto questa mattina, avevamo fatto colazione a letto, poi tu mi avevi preso tra le braccia…

Lancio svogliatamente un occhiata all’orologio che avevo poggiato ieri sera sul comodino azzurro a fianco al letto, segna le 13,45. In pratica abbiamo passato l’intera mattina chiusi in camera. Ti scuoto dolcemente e tu come sempre da quando ti conosco mi guardi, sorridi, allarghi le braccia. Fra qualche ora dovremmo ripartire e forse sarebbe bene mangiare qualcosa prima di rimettersi in moto.

Ci vestiamo velocemente. Ti guardo mentre ti vesti e penso che non ci sia nulla di più meraviglioso di te. Indossi reggiseno e mutandine coordinate, semplici, ma sembrano la cosa più sexy che abbia mai visto. Sopra un t-shirt bianca e un paio di jeans. Leghi i capelli in quel modo così meraviglioso da lasciarmi incantato. Sono i tuoi gesti, quelli semplici che fai tutti i giorni da quando ti frequento eppure, ancora oggi non so spiegarmene il motivo, questi gesti mi affascinano e mi stregano legandomi ogni momento di più a te.

Percorriamo il corridoio, scendiamo la ripida rampa di scale. La signora che ci ha accolto all’arrivo ci vede e le si accende su volto un sorriso incantevole quasi quanto il tuo. Tu mi prendi la mano e la stringi, con l’altra infili gli occhiali e cominci a camminare con il naso lievemente all’insù. Arriviamo alla scalinata, quei tre gradini che ci hanno dato il benvenuto ci aspettano assolati, la ghiaia del vialetto scricchiola sotto i tuo sandali con il tacco, lievemente e dolcemente. L’ombra del grande buganvilee ci traghetta fuori dalla nostra pensione. È caldo, ma è lieve passeggiare per questo piccolo paesino affacciato sul mare. L’odore intenso dell’acqua salmastra, la brezza che gioca con i tuoi capelli, questo sole settembrino che bacia innamorato il tuo viso, tutto sembra creato apposta per noi due. Poche persone, percorrono queste viuzze, fino a qualche giorno fa affollate come il Corso di una grande città. Oggi regna il silenzio sonnacchioso dei giorni di festa: un regalo per noi.

Ci fermiamo di fronte ad un ristorantino che appoggia i suoi tavolini sulla banchina del porto, quasi a ridosso della bitta dove sono ormeggiati un paio di pescherecci bianchi e azzurri. Tovaglie semplici, apparecchiate con piatti di un bianco abbagliante, due bicchieri ed al centro una candela mezza consumata e spenta. Il profumo delle pietanze a base di pesce ci accarezza lo stomaco, come al solito non ci servono parole, quello è il tavolo che abbiamo prenotato il primo giorno che ci siamo conosciuti.

Ci sediamo, l’uno di fronte all’altro, il sole è ancora alto, leggermente più basso dello zenit, gioca a far splendere i tuoi capelli con i colori della gioia e della felicità.

Sembra tutto un sogno, tutto talmente bello da sembrare il sogno sempre sognato di uno scrittore alle prime armi. Ti guardo come ti guardo dal primo giorno che ho realizzato che si parlava di sentimento condiviso, ancora oggi incredulo, ancora oggi stupito dal fatto che Tu possa trovare qualcosa in me. Ti amo, ti ho sempre amato, ti amo così da prima di conoscerti, da prima di sapere che esistevi. Ti amo perché la cosa che voglio di più è starti vicino, sentire il tuo respiro mentre dormi tranquilla al mio fianco, sentire il tuo dito accarezzare piano il mio braccio, sentirti ridere e vedere i tuoi occhi riempirsi di gioia bambina. Oggi la frase più semplice da dire è: “Ti amo”. Non volermene, ma mentre ti guardo, incorniciata dal sole più bello del mondo, mentre facendo finta di stiracchiarti allunghi le tue braccia verso di me. Le tue mani alla ricerca delle mie mani. Intrecci le tue dita alle mie ed io mi perdo per l’ennesima volta nello splendore di due occhi che mi strabiliano e mi trascinano dentro di loro ogni volta che trovo il coraggio di specchiarmici.

Mi stai raccontando di qualcuno dell’ufficio, ma io, completamente rapito dai miei pensieri non ho ascoltato una parola. Quando te ne accorgi fai finta di mettere il broncio. È solo un attimo, sai perfettamente a cosa pensavo. Ci si avvicina solerte un cameriere, alto e allampanato, ha un grosso naso e due orecchie a sventola enormi, inoltre ha il viso addobbato con due baffetti alla Clark Gable, veramente irresistibili. È la simpatia fatta persona. Ci comunica seduta stante di chiamarsi Giorgio e che non è un cameriere qualsiasi, bensì il proprietario del locale e che per oggi avrà l’onore di essere lui la nostra guida nel fantastico mondo culinario che conduce. Gli lasciamo carta bianca e ci affidiamo al nostro novello Virgilio per scoprire le meraviglie di questo Paradiso della Cucina. Giorgio si allontana con un sorriso soddisfatto sotto i baffetti.

Mentre aspettiamo fiduciosi la nostra attenzione viene catturata da due persone che arrivano più o meno dalla medesima direzione dalla quale siamo arrivati noi. Anche l’andatura e il modo di tenersi per mano li fa rassomigliare in maniera sconvolgente a noi. La grande differenza risiede però nella loro età, sono molto più vicini ai settanta che ai sessanta. Quello che sorprende, anche a questa distanza, è la luce nei loro occhi, il modo che hanno di guardarsi, di parlarsi. Si tengono stretti, osservano il mare, il cielo, con gli occhi dell’amore. Sono eleganti e distinti, vestiti con le tinte pastello del mare, si avvicinano ad uno dei tavoli vicino al nostro. Solo ora mi rendo conto di quanto sciocco sia stato io: lui la precede teneramente per arrivare al tavolo qualche secondo prima di lei, sposta la sedia, la fa accomodare e le avvicina la sedia. Qualcosa lo trattiene per un attimo, quindi, da dietro le avvicina le labbra tra il collo e l’orecchio destro, ornato di una magnifica perla, e la bacia teneramente con la gioia di un ventenne. Lei non si sorprende. Allunga leggermente il collo ed un sorriso dolce le increspa le labbra. Lui gira intorno al tavolo si siede di fronte e lei con un gesto che conosco bene allunga le braccia sul tavolo e cerca le dita di lui per intrecciarle alle proprie.

Anche tu ti sei accorta di quanto è accaduto appena a qualche metro da noi. Mi guardi, sorridi, più con gli occhi che con la bocca ed io mi scopro di amarti da sempre.

Sapore di sale

Sei ferma a prua, ti reggi allo strallo del fiocco. Guardi avanti, intenta a scrutare il niente. Chissà a cosa pensi. Siamo da poco fuori dalla Marina di Roma. Abbiamo deciso di viaggiare di notte, sfruttando questa brezza leggera da Sud che increspa solo leggermente un mare d’argento, altrimenti calmo come il tavolo da pranzo del soggiorno.

Ti guardo in silenzio dal pozzetto, illuminato appena dalla luce degli strumenti di navigazione.

41° 43.850’ N, 12° 11.739’ E, segna il GPS. Siamo appena al traverso di Fiumara. Un paio di miglia fuori. Le luci di Ostia sembrano già occhieggiare lontano. Un aereo solitario si alza da Fiumicino facendo vibrare l’aria con il rombo dei motori al massimo, mentre lentamente ritira flaps e fa rientrare i carrelli. Sollevi la testa e guardi in alto seguendo il rumore dell’aereo in volo.

Lasco un filo la randa, allentando la scotta dal winch di sinistra. Il log mi conferma un nodo in più.

Con l’aereo ormai lontano il silenzio è assoluto, solo lo sciacquio dolce della prua del nostro Bavaria che taglia dolcemente l’acqua, lasciando dietro di se una scia fosforescente.

Ingaggio il pilota automatico, il mare di fronte a noi è completamente libero. Il ponte è leggermente sbandato verso sinistra. Controllo un’ultima volta gli strumenti, quindi saltando sulla panca di dritta ti raggiungo a prua. Mentre mi avvicino mi accorgo che sei scalza, indossi quella felpa blu che ti ho regalato qualche tempo fa e dalla quale non ti separi mai quando siamo insieme. Il berretto con la visiera della Murphy ti trattiene i capelli. Mi fermo un attimo sei bellissima. Ogni volta che ti guardo non posso fare a meno di pensarlo, non posso fare a meno di pensare a quei primi giorni, a quell'interminabile periodo, che sembrava non finire più, in cui dovemmo separarci. Sembrano passati decenni. Ogni volta che ti guardo il mio cuore perde un piccolo battito ed io mi sollevo qualche centimetro da terra.

Ti raggiungo, sembri accorgerti di me solo ora, ti abbraccio da dietro, facendo passare le mie braccia sotto le tue. Bacio il solito posto, dietro il tuo orecchio destro. Un leggero brivido ti percorre, chissà se stai pensando anche Tu a quel primo giorno. Era l’ultimo giorno di Luglio.

Rimaniamo così per un minuto o forse più, il mare e la brezza da Sud cullano dolcemente la nostra barca. Ti giri lentamente verso di me, avendo cura di far passare il braccio destro dietro lo strallo; ti appoggi quasi al genoa teso e mi guardi profondamente negli occhi. Sei silenziosa e pensierosa. Sei tenera e decisa. Mi guardi e i tuoi occhi mi arrivano in fondo al cuore, rimestano nel mio animo e pescano tutto il mio amore per te. Vorrei non farti capire quanto sei importante per me, vorrei non dirti così spesso che ti amo. Non vorrei essere la parte debole di questo rapporto, ma Tu mi spogli di tutte le mie difese, delle mie armature. Mi hai colto di sprovvista, non mi hai dato tempo di mettere in atto tutta quella serie di tattiche che mi ero creato per essere sempre dalla parte di chi comanda in un rapporto. Ma mai come in questo momento, con te vicino a me, con te che mi baci con dolcezza le labbra, sono felice di non aver difese. Domani è un altro giorno…

mercoledì 18 aprile 2007

Ah Tene'...

La nebbia ha il suo odore… forse sono pazzo, ma sono convinto di questo. La nebbia ha un odore caratteristico. Sento che fuori la porta dell’alloggio troverò un’altra mattinata di nebbia. Dura, lattiginosa, per me spaventosa. Non conosco la nebbia, non conosco questa nebbia. Vengo da una città in cui svegliarsi con questa atmosfera è un avvenimento più unico che raro. Qui sembra esattamente il contrario, sono a Montorio Veronese da circa due mesi e ancora non sono riuscito a capire cosa c’è intorno a me.

Sono due mesi che, per la prima volta in vita mia, sono veramente lontano da casa. Sono un sottotenente, dopo cinque, estenuanti, mesi di corso, ho ricevuto i gradi e la destinazione: caserma “Duca”, Montorio Veronese, praticamente Verona. Ho lasciato Roma, con l’altro amico con medesima destinazione, in una giornata di pioggia. La Panda carica all’inverosimile, i genitori in strada a salutarci. Fa sorridere… oggi.

Cesare mi guarda, gli occhi leggermente lucidi:

“Anche Roma sembra piangere il fatto che partiamo”.

“Già!” – rispondo cercando di fare un po’ il duro.

Siamo stati fortunati, un buon comandante, un bel reparto. Ci fanno addirittura scegliere gli incarichi che preferiamo svolgere. Due volte fortunati: Cesare è un animale da divisa elegante, gli piace svegliarsi con calma, preferisce il lavoro di ufficio. Io, mattiniero per vocazione e per scelta, adoro stare dove ci si sporca le mani, la mia mimetica è già pronta per il ritocco fuori ordinanza: le tasche all’altezza delle ginocchia, come quella dei paracadutisti. Scelgo di occuparmi del reparto addestrativo. Scuola guida a Grezzana o Boscomantico. Autocolonne, officina. Sono diventato amico del maresciallo dell’officina. Ci sarà da divertirsi.

Bisogna essere fuori dalla caserma prima dell’alzabandiera, ci svegliamo prima di tutti, quando ancora gli altri poltriscono sotto le coperte. Il freddo, l’umido di quei giorni li porto ancora con me. Un freddo che ti entra nelle ossa, che attraversa lo strato leggero del cotone della mimetica. Quanto avevamo riso, quando a Roma, il primo giorno del corso ci avevano fornito, insieme alle altre cose della famigerata “superpippo”: mutandoni lunghi di lana con annessa magliettona intima del medesimo materiale. La prima volta che la indossavi sembrava di avere mille aghi che si conficcavano nella pelle. Ma quante benedizioni, poi, le abbiamo mandato. L’abbiamo usata fino a consumarla.

Che freddo che faceva, alle 6,30 del mattino sotto quei capannoni un po’ lugubri della Tettoia Mezzi Corazzati: la TMC. Un freddo che veniva riscaldato dalle risate dei nostri venti anni. I caporali istruttori tentavano di tenere inquadrati i plotoni con le “spine” che la mattina avrebbero dovuto fare le guide. Risate, un “và in mona” veneto a cui rispondeva un “minchia” siciliano. Mi vedevano arrivare solo un attimo prima che comparissi, la nebbia in questo mi era amica. Ero il loro ufficiale, c’erano i riti militari da rispettare. Si faceva silenzio, i caporali preparavano la presentazione della forza. Attenti, riposo, sui camion! I ragazzi viaggiavano sui cassoni, teli rigorosamente su. Io, in cabina cercavo un po’ di conforto con il riscaldamento e pensavo a loro. Li vedevi parlottare, vicini, vicini. Un pò li invidiavo. Li vedevi discutere animatamente in dialetti diversi. Tutti lontani da casa, tutti con qualche rimpianto nel cuore. Si parlava con mamma e fidanzata solo a condizione di trovare un telefono a gettoni che funzionasse. Quante telefonate mancate, quanti ti voglio bene rimasti tra le labbra quando cadeva l’ultimo gettone, quanto era più difficile parlare con chi ti voleva bene, sembrano passati cento anni oggi.

Parlavano fra loro, discutevano dell’ultima conquista in discoteca, della ragazzetta del bar che si trovava appena fuori dalla caserma. Erano belle le ragazze veronesi, sembravano tutte belle. Erano tutte ricche le ragazze veronesi. Erano eleganti, erano diverse. Erano amori improbabili, amori della nostalgia e della curiosità. Amori dei venti anni, belli e dolci nel ricordo. Un amore “terrone” troppe volte ostacolato dalle famiglie e dagli amici. Erano amori che venivano vissuti di nascosto nella città di Romeo e Giulietta. Quante promesse perse in quei giorni freddi e umidi; un “ti amo” tra la nebbia, vicino ad un fiume dolce come l’Adige, al riparo di un ponte così vecchio da chiamarsi Ponte Vecchio. Un ponte nato per fuggire, non dai nemici, ma dagli amici. Parlavano fra loro, soffiandosi nelle mani, cercando di creare un po’ di calore. Parlavano della macchina comprata qualche mese prima di partire a fare il militare, la stessa macchina che ora avevano lasciato in custodia al fratello minore con il compito di accenderla un giorno si ed uno no e con il divieto assoluto di fumarci dentro o peggio ancora di usarla. Parlavano tra loro della ragazza con gli occhi scuri ed il seno grosso che li aspettava al paese. La stessa ragazza che aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri dell’altro amico. Le stesse storie, gli stessi sorrisi, le stesse domande mi facevano questi ragazzi scambiando un grado per esperienza. Io rispondevo, perché dovevo farlo; rispondevo a domande a cui tutto sommato anche oggi avrei difficoltà a trovare la giusta soluzione.

Venti anni i miei come i loro, la stessa nostalgia di casa, la stessa voglia di correre tra le braccia di un amore nuovo.

C’era un campanile, appena fuori da Montorio, dietro la linea ferroviaria e quelle mattine in cui la nebbia ci concedeva una tregua, si poteva vedere il sole sorgere lentamente da dietro quell’elegante creazione architettonica. Sorgeva con eleganza regale, facendo capolino da dietro la finestra a bifora e rilucendo sullo spigolo della campana grande.

La foschia leggera di quelle mattine era un toccasana dopo i giorni cupi di quella pioggerellina fredda che non bagnava, dopo quell’umido che ti toccava l’anima con gli artigli gelidi.

Il freddo di quelle mattine lo porto ancora con me, come porto con me l’immagine di quel sole rosso dietro quel campanile nella bruma mattutina. L’immagine sfocata dalla brina gelata sul finestrino del mio camion. Un’immagine che si fonde con il chiacchiericcio sommesso dei ragazzi che accompagnavo a guidare. Del calabrese che faceva il duro, del padovano che era andato al cinema per la prima volta, del ragazzo di un paesino del bresciano che era fidanzato con una ragazza di un altro paese, ma lei ancora non lo sapeva.

Quel freddo che si riscaldava solo all’arrivo al bar del paese, dove facevamo colazione e il grosso barista anziano, con il vocione baritonale mi chiedeva con il meraviglioso accento veneto se volevo un “goccin de graspa” nel caffè. Alle sette del mattino? Ma si!

Quelle giornate sempre uguali, l’una all’altra, nel monotono dipanarsi della sicura routines militare. Eppure ciascuno di quei giorni ti insegnava qualcosa di più, ti regalava quell’emozione della scoperta che oggi è così difficile da riprodurre.

Le goccioline fredde, scivolavano piano sul finestrino disegnando improbabili mappe di misteriosi e fantastici continenti mai esistiti. Le studiavo rapito, indovinando dietro lo schermo lattigginoso della nebbiolina il profilo della città e l’intreccio austero delle vie già affollate nonostante l’ora mattutina.

Li porto tutti con me, quei ragazzi che mi hanno odiato e voluto bene. Porto con me il cordone da caporale istruttore, regalatomi l’ultimo giorno dai miei ragazzi. Tutti con le lacrime agli occhi. Ora li potevo finalmente salutare con un abbraccio, non ero più un loro superiore. Ero uno di loro che tornava a casa. Mi concedono il loro ultimo saluto “alla visiera”, nonostante io sia in borghese. Un sorriso, i loro sorrisi mentre me ne andavo con un groppo in gola, con la voglia e la felicità di tornare da dove ero partito solo qualche mese prima. Le porto con me le risate di quel capodanno passato con la guardia al Deposito Carburanti. Una bottiglia di spumante ed una fetta di panettone divisa con loro, nonostante la tristezza di essere lì piuttosto che a casa. Ma c’era comunque quel sorriso che oggi conservo su di una vecchia fotografia sgualcita con i volti di ragazzi di cui non ricordo assolutamente il nome. Porto con me quel campanile dal quale sembrava sorgere il sole, le passeggiate in una città meravigliosa e tutt’altro che fredda. Porto con me, per sempre l'immagine di quella ragazza bionda che mi sorrise quella sera e di cui oggi vorrei tanto ricordare il nome. Tutto questo è chiuso nel mio cuore, con la speranza che magari qualcuno di quei ragazzi mi ricordi ancora oggi e che nonostante i miei soli vent’anni qualcosa di buono io possa avergli regalato.

“Ah Tene’ ci viene a ballà con noi stasera?”...

giovedì 12 aprile 2007

muro

fiore d'estate
profumo di zagare
dietro quel muro
solo con te
per sempre
sarei rimasto
fermo
per guardare
i tuoi occhi
toccare
le tue mani
baciare
la tua bocca
dietro
quel muro
sarei rimasto
ad ascoltare
i tuoi
Ti Amo

mercoledì 11 aprile 2007

La passione di Artemisia

Artemisia. Chi è costei? Artemisia Gentileschi è realmente esistita; nasce a Roma nel 1593, precisamente l'otto di Luglio. Artemisia è figlia del già noto pittore romano Orazio Gentileschi e da lui proprio viene avviata allo studio di tale arte. Artemisia dimostra subito attitudine e passione, ma quelli sono anni difficili per una donna che vuole emergere (ed oggi?). Sentimenti, passioni, delusioni, successi: un racconto che fugge lieve, divertente, prendendo il lettore per mano e portandolo con leggerezza in quegli anni. Con Artemisia, ballerete una gavotta in una serata di gala, sarete invitati alla corte dei Medici, passeggerete con Galileo chiacchierando delle nuove teorie sull'universo che spaventano tanto la Chiesa.
Insomma un libro da leggere, prima di tutto perché scritto con maestria ed intelligenza, con la capacità di mantenere il lettore seduto sulla poltrona a leggere per ore senza accorgersi del tempo che passa. Ma un libro da leggere, perché, seppure romanzata, la storia è praticamente tutta vera. Vera la protagonista, veri i dipinti descritti, vera la testardaggine di una donna che ha precorso i tempi, che non ha chinato il capo di fronte a nulla e che ha vissuto la propria vita all'insegna del raggiungimento dei propri obiettivi. Artemisia mi ha colpito, mi ha incuriosito, affascinato con la sua forza d'animo, con la sua assoluta voglia d'amare al di fuori degli schemi preimpostati. Di amare prima di tutto la propria arte, di amare la propria figlia, di amare gli uomini. Un consiglio? Leggetelo tenendo sotto mano le foto dei suoi dipinti, ne rimarrete entusiasti!

La passione di Artemisia di Susan Vreeland (Neri Pozza)

p.s. grazie Nic!

Per chi volesse approfondire ulteriormente l'argomento esiste anche questo libro di Alexandra Lapierre. Costa veramente una sciocchezza (8,80 Euro) ed all'interno ci sono delle buone tavole a colori che riproducono alcuni dei capolavori di Artemisia e Orazio Gentileschi. Anche per questo il mio ringraziamento va a Nic.


giovedì 5 aprile 2007

ma...

cuore
maledetto cuore
che fai rima con Amore

maledetto cuore
che riapri
sempre
le tue porte

maledetto cuore
troverò la chiave
prima o poi

maledetto cuore
smetti di battere
e lasciami piangere
senza di lei

senza preavviso


all'improvviso
i tuoi occhi
nei miei

senza preavviso
cuore senza battito
respiro senza fiato

solo perchè

all'improvviso
i tuoi occhi
nei miei

mercoledì 21 marzo 2007

ad un amico

amico mio
oggi lui
non c'è più

piangi
amico mio
perchè lui
non è più

piangi perchè
non sarà più
lui a legare
quella lenza

non sarà più
lui a raccontarti
di quel mare

non sarà più
lui a darti
quel consiglio

piangi
amico mio
ma io so
che lui
sarà
per sempre
con te

per Fulvio - 17 marzo 2007

Dado

piccola poesia
piccole mani
piccoli occhi

emozionato
mi guardi
emozionato
mi parli

voce che trema
cuore che batte
parola dimenticata

piccola poesia
per sempre
nel mio cuore

19 Marzo 2007 - festa del papà

esse

solo
silenzio
sembra sentire
stasera

stando
solitario
seduto su
sassi
spaccati

sento
salmodiare
sussurrando
spiriti solo
sopiti

soltanto
serrando
nel cuore
l'Amore

per te


il tuo nome
che vorrei urlare
nel vento
in faccia
al mondo

il tuo nome
che non posso
dire
che posso
sussurrare
nel silenzio

il tuo nome
che mi accompagna
da sempre
per sempre
nel vento
come un'ombra

pioggia

gocce
di pioggia
come lacrime
d'amante
scivolano
sul volto
amato
in silenzio
costante

giovedì 15 marzo 2007

Morire d'Amore


Sappi
che
se ti ho cercato
è stato solo per
Amore

quando
ti ho amato
come si amano
le meraviglie
di questo mondo
è stato solo per
Amore

quando
ho pianto
come solo chi ama
piange
è stato solo per
Amore

e
solo per Amore
ora
andrò via
da te
perchè
solo per
Amore
si può morire
d'Amore

giovedì 8 marzo 2007

Concorso di Emozioni di Manuale di Mari

La tua opera nell’Antologia del Concorso di Emozioni!

Manuale di Mari in Concorso di Emozioni, 2007, Concorso di Emozioni — 1 Marzo 2007 @ 22:23

Bozza della copertinaLa grande avventura del Concorso di Emozioni è prossima al traguardo.

Le tue emozioni d’amore, espresse in poesia o in prosa, possono essere pubblicate nell’Antologia del Concorso di Emozioni creata dal Blog Manuale di Mari! La tua opera sarà stampata in un libro vero, pubblicato dall’editore Kimerik con tutti i crismi dell’editoria tradizionale ed ufficiale! Un volume che sarà presentato alla prossima Fiera Internazionale del Libro di Torino (maggio 2007) e che avrà le seguenti caratteristiche:

- Copertina a colori; - Carta avorio 100 grammi; - Rilegatura a filo; - Formato 14X21; - Prezzo di copertina: Euro 12,00 (dodici/00); - Codice ISBN; - Codice a barre rilasciato dall’AIE (Ass. Italiana Editori); - Bollini SIAE.

Il libro sarà inserito in tutti i cataloghi e sarà registrato presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, sarà in vendita on line dal mese di maggio e avrà la prefazione di Nicla Morletti, scrittrice ideatrice del famoso Premio Letterario Internazionale "Il Molinello".

Cosa devi fare per partecipare a questa fantastica Iniziativa? Preleva la Guida Informativa del Concorso di Emozioni oppure segui questo link.

Però affrettati! Se vuoi che la tua opera sia inserita nell’Antologia in via di pubblicazione, devi inviarcela entro il 10 marzo 2007. Siccome mancano pochi giorni alla scadenza, ti invitiamo a inviarci l’opera esclusivamente via mail (l’email è indicata nella guida e nel sito già segnalati). Subito dopo, riceverai la dichiarazione da inviare all’Editore per autorizzarlo a stampare la tua opera nell’Antologia del Concorso di Emozioni.

Anche se non puoi partecipare con una tua opera, diventa Blog Promotore del Concorso di Emozioni! Potrai postare nel Blog di supporto del Concorso: www.concorsodiemozioni.splinder.com e far conoscere a tutti altre iniziative culturali e letterarie.

onda

sonora
rimbomba
quest'onda

con fragore
risuona
sul fondo

di abissi
si abbatte
ricolma

come
l'amore mio
svanisce
quest'onda

notte

notte
buia
notte
fredda
notte
senza parole
senza senso
solo
notte
nel cuore
solo
strazio
questa
notte
senza
il tuo respiro
accanto
al mio

mercoledì 28 febbraio 2007

ti amo


forse
dovrei dirtelo
ma troppo tempo
è passato

forse
dovrei prenderti
le mani
tra le mie
e
stringerle

forse
potrei convincerti
ma
a cosa servirebbe
dirti ancora
una volta

ti amo

dopo

dopo l'amore
cosa rimane
dopo l'amore
cosa viene
dopo l'amore
arrivi tu
tristezza

lunedì 26 febbraio 2007

occhi

se ti guardo
nulla mi sfugge
se ti guardo
gli occhi tuoi mi parlano
quando ti guardo
parole non trovo
per dirti
che
gli occhi
tuoi
sono
gli occhi miei
innamorati

tristezza


I
Un mare
terso
di fronte a me
un cielo
di nuvole
con te

Sospiro
di aria fresca
dolce sorriso
uno sguardo di gioia
e poi
silenzio

Rumore di onde
che sciacquano tenui
sabbia su sabbia
che scorre
come il tempo
che ho diviso con te
tra le dita

Palme odorose
fibre
lontane
spezie
nel caldo
ricordo
non fu

II
Eppure quell’acqua
ancora mi bagna
tiepida
l’animo
con i ricordi di mai

Rena bagnata
di sale
di sole
un sorriso d’amore
un abbraccio infinito
non fu
eppure
il mio cuore
da sempre sognò
quel sorriso d’amore

III
Da solo cammino
con te nel mio cuore
con l’anima a pezzi
non so dove andrò

Il mio sguardo d’intorno
accarezza
un paesaggio
un sogno
con te

Uno sguardo felice
una mano stretta
una carezza
un bacio
mai dato
un sogno
mai stato

IV
Rumore di onde
che frangono
potenti
come maglio
d’acciaio su acciaio
gocce
come scintille
dolore
come fuoco che brucia
il mio amore per te
che non volesti
che non vuoi
perché
hai deciso
così

Tu hai deciso
io
rimango a guardare
le onde
che frangono
con rumore
sul dolore mio

V
Ho cercato riparo
tra le pietre
dei dispiaceri
un luogo
da solo
dove nascondermi
da tutti
per sempre
e non tornare mai più

VI
Sogno di un sogno
che non fu
che mai sarà
dimenticato
da dimenticare
perché
troppo dolore
è
il ricordo di ciò che non fu

Ho preso con me
le cose più care
sono fuggito dove voi
non potrete trovarmi

Un luogo lontano
senza l'incanto
abitato solo
dai ricordi
dalle gioie passate
dove il dolore di oggi
accesso non ha

Ho nascosto le pene mie
non le vedrete più
non vedrete più me
non voglio vedere più voi

VII
Fuggo, lontano
mi nascondo agli occhi
di chi
furbo
cattivo

spietato
ha pensato
di poter decidere
della vita mia

Fuggo da tutto e da tutti
non chiedo più aiuto
non do più aiuto
fuggo
come cane che fugge

Non conosco più
chi bene
e
chi male
indifferenza
fuggo

VIII
Da soli si fugge
per non tornare mai più
per non essere nulla
per non avere nulla
ma solo possedere
tutti
i sogni sognati

Tramonta già il sole
su un sogno finito
su un sogno mai stato
su noi che non siamo
su te che sei
già lontana da me

ridi

ridi
se puoi
quando
penserai a me

ridi
dolce amore
quando
gli occhi tuoi
incontreranno
nei sogni
i miei

ti prego
ridi
perchè
se tu non ci sarai
avrò per sempre
il riso tuo
ad illuminare
il ricordo
di noi

Racconto per un amico

Eccomi pronto a partire per la settimana bianca... sette giorni in cui potrò dedicarmi allo sport, respirare un pò d'aria buona e dopo la doccia serale dedicarmi a leggere un buon libro. Era d'obbligo, quindi la passeggiata in libreria. Non avevo in mente nulla di preciso, anzi a dire il vero di libri da leggere ne avevo, ma non potevo certamente perdere un'occasione così ghiotta per comprarne ancora. Girovagavo tra gli scaffali odorosi del mio paese dei balocchi, quando due occhi meravigliosi mi urlano qualcosa dalla copertina di un libro che non avevo notato prima: Halina Poswiatowska - Racconto per un amico. Prendo in mano il libro, lo volto e leggo: "Halina Poswiatowska nacque nel 1935 e morì nel 1967 - rapido calcolo utilizzando le dita e sono solo 32 anni! - in Polonia, all'età di trentadue anni - Appunto! - Era una grande poetessa, amata e venerata dai giovani del suo paese, che un cuore fragile, per un'angina curata male in tempo di guerra, sottrasse troppo presto alla letteratura polacca ed internazionale. Racconto per un amico apparve pochi mesi prima della sua morte [...]. La poetessa polacca narra della sua esistenza ad un amico cieco, presenza costante, protettrice e ammonitrice... Insomma lo compro. Non fosse altro perchè gli occhi in copertina sono proprio quelli di Halina.
Il libro viene iniziato il sabato sera e terminato nelle due serate successive. E' vero: è un romanzo autobiografico: è la storia di Halina dalla sua infanzia fino a qualche mese prima della morte, ma è molto di più: è l'inno alla vita che tutti dovrebbero leggere. E' la vita stessa che si fa scrittura, è la gioia di respirare, la gioia di amare e di sentirsi amati contro tutti e contro tutto. Leggendo queste pagine il cuore batte all'unisono con quello malato di Halina. Ci sono volte in cui il suo senso di soffocamento sembra essere contagioso. La sua voglia di amare diviene la tua voglia di amare.
"Camminando in quel pomeriggio di sole sotto i rami bassi degli alberi, capivo solo che il mio nuovo amico era triste e che né il prato, con il suo profumo più intenso all'imbrunire, né le folli giravolte del ballo, né i baci riuscivano a dargli piacere. Decisi di insegnargli la gioia."
Halina Poswiatowska mi ha trascinato nella sua esistenza, facendomi comprendere, una volta di più, quanto poco importanti siano certi affanni di tutti i giorni di fronte alla grandezza della vita, alla possibilità di poter affrontare ogni nuovo giorno senza dover fare i conti con la spada di Damocle di una malattia. Ma forse, ancora di più, come si possa affrontare la vita, ogni giorno, sapendo che se la morte è in agguato dietro l'angolo ognuno di noi è chiamato ad arrivare a quell'angolo con la fronte alta, senza paura, vivendo tutto l'amore, anzi scusate, l'Amore, che possiamo senza arrenderci un solo minuto, anche perchè: "Resterà tutto uguale quando non ci sarò più? I libri si disabitueranno al tocco delle mie mani, i vestiti scorderanno l'odore del mio corpo? E le persone? Per un pò parleranno di me, si stupiranno della mia morte, poi dimenticheranno. Non illudiamoci, amico mio, la gente ci seppelisce nella memoria tanto in fretta quanto seppelisce sottoterra i nostri corpi. Il dolore, l'amore, tutti i desideri se ne vanno con noi senza neanche lasciarsi dietro uno spazio vuoto. Non esistono spazi vuoti sulla terra."

Racconto per un amico di Halina Poswiatowska (Neri Pozza)

venerdì 16 febbraio 2007

mentre dormi


sciolti i capelli
sulle spalle languidi
la pelle tua
accarezzano

seguo con sguardo
d'amore
la curva dolce
della schiena
conosciuta

nuda
dormendo
regali
al mio sogno
la forma
della realtà

vicino
sento
di respiri
il profumo
e di amore
mi avvolgo

strade

cammino
per il lungo
di questa strada
di città
che lascia tracce
di nero
sui vestiti

cammino
perchè
non so
dove andare
e perchè
forse
non voglio arrivare
da nessuna parte

cammino
sui miei piedi
che sono miei
solo per caso
perchè così
destino
ha voluto

cammino
quando
sono stanco
e quando
tutti gli altri
intorno
a me
decidono
di fermarsi

martedì 13 febbraio 2007

disegno


S
E
N
T
O
di Amare
TALMENTE TANTO
TUTTE
le
l e t t e r e
delle tue parole
c
h
e
le faccio mie
e
le
DISPONGO COME
più piace a
M
E

perchè così sarò felice
anche
senza
di
te

(... se mi leggesse Perec!)

lunedì 12 febbraio 2007

Padrona e amante

Di chi parliamo quando parliamo di padrona e di amante? Anche appena terminato di leggere questo romanzo che per mille motivi ho amato mentre lo leggevo, momento dopo momento e che continuerò ad amare per sempre, continuo a chiedermi: ma la padrona e l'amante del titolo chi sono nella trama coinvolgente del romanzo?
Se dovessi azzardare una prima ipotesi direi che la padrona e l'amante è la danza kathakali per l'anziano Koman, colui che cuce la storia. Koman è lo zio anziano, uno dei grandi interpreti di questa antica arte indiana. Koman ci racconta la sua storia, passando per la storia della sua arte.
Poi mi fermo un momento a pensare e scopro che la padrona e l'amante di questa storia è la modernità che avanza in un paese che è ancora pericolosamente in bilico tra le tradizioni secolari che lo caratterizzano ed una modernità globalizzante che lo attenaglia, che lo avvolge tra le sue spire. Una modernità che il grande sociologo Baumann definisce "liquida". E' un divenire pericoloso che lascia coloro che vivono il momento assolutamente disarmati. Quindi la giovane Radha, bella donna indiana, benestante, proprietaria con il marito di un piccolo paradiso per turisti, si trova a combattere tra una tradizione che la vorrebbe silenziosa accanto al marito e un amore nuovo che sa di occidente, di nuovo e di emancipazione: Chris, in India per intervistare appunto l'anziano zio.
Modernità indiana con la mano tesa di Radha e il namaste impacciato di Chris al loro primo incontro alla stazione, che si ritrasformano nel saluto inverso delle rispettive tradizioni in un intreccio confuso di emozioni.
Ma padrona e amante non è la stessa Radha nei confronti del proprio marito che la vorrebbe sottomessa, ma che rimane sottomesso dalla bellezza disarmante di lei e dalla sua incontenibile voglia di emancipazione?
Un racconto pieno di vita, scritto con sapienza e costruito sulle diversità che si compenetrano, sull'amore che si trasforma e per l'amore che rimane inossidabile nel tempo contro tutti.
Un libro da leggere e da tenere vicino per una settimana una volta terminato, perchè le domande che suscita non terminano certamente alla parola fine.

Padrona e amante di Anita Nair (Neri Pozza)

giovedì 8 febbraio 2007

nulla


sorveglio il soffitto
tra le note
silenziose
di una notte
lunga
cerco nel cuore
tra le pieghe
dolorose
un amore
finito
scopro nelle mani
tra le dita
intirizzite
un vuoto
immenso

semplicemente

non ho scorza
come frutto
di polpa
così mi sento
non ho spine
come fiore
colorato
mi voglio vedere
qualcosa
che non dico
la tengo stretta
dentro il cuore
perchè
dirla
farà più male

lunedì 5 febbraio 2007

mare

eccomi
di fronte a te
mare
mio mare
azzurro splendente
di spuma
bianca
ardente
duelli
di acque contro venti
eccomi
pronto a donarmi
con animo di sfida
e cuore prono
di fronte a te
insegnami
la tua forza
dolce mare

domenica 4 febbraio 2007

verità

Quando ti avrò ascoltato
per l'ultima volta
quando mi avrai detto
ancora una volta
che d'amore non si muore
chiuderò gli occhi
e dormirò
perchè
quella
sarà stata
la tua prima
verità

Dell'odio, dell' Amore

Il ticchettio ritmico della pioggia, che si appoggiava prepotente alla ringhiera celeste del tuo balcone, ti aveva svegliato nel cuore della notte. Era la prima vera pioggia di quell'inverno ritardatario e pigro. Il gelo che ora fischiava tra le fessure della finestra ti entrava nelle ossa, regalandoti un brivido maligno.

Continuavi a pensarci, anche se avevi fatto di tutto, se ti eri detta tutto quello che ti potevi dire, se ti eri raccontata tutto quello che potevi raccontarti, continuavi a pensarci. Continuavi a pensarlo, ad amarlo, ad odiarlo. Nessun sentimento era escluso. Riuscivi ad odiarlo e un secondo dopo provavi una stretta sincera allo stomaco se qualcosa ti riportava alla mente una sua frase o un modo di fare. Proprio ieri sera, mentre preparavi la cena, Marta era lì dietro di te che pigolava felice, e tu, come al solito, rimestavi nell'odio che ti eri costruita nel cuore tra i piatti e le posate, elencandoti tutti i più giusti motivi per tenerlo lontano; all'improvviso, la piccola, giocando, aveva detto una frase che ti aveva bloccato il respiro per un attimo. Aveva usato le sue stesse parole, quelle parole che dette da lui, decine di volte ti avevano riempito il cuore. Allora come adesso.

Lo rivedevi, con il suo sorriso sincero e aperto aspettarti all'angolo di quella che era divenuta con l’abitudine la “vostra” strada. Seduto su quel muretto di quella via sconosciuta, dietro quel parco cittadino che lui amava tanto. Sentivi il suo profumo mentre si avvicinava per baciarti il collo. Lo vedevi, felice come un bambino, mentre ti guardava aprire il regalo che aveva comprato per te.

Ora, persa nei silenzi immensi di questa piovosa notte romana, guardi fuori dalla finestra del salone, sorvegli dall'alto questa città enorme, mai silenziosa. Nonostante il tempo inclemente e l'ora tarda le automobili continuano a disegnare strisce luminose con i loro fari sull'asfalto bagnato. Lunghe strisce bianche se guardi le auto che provengono da una direzione e rosse se ti concentri su quelle che si dirigono nella direzione opposta.

Ci stai pensando di nuovo. Vai in cucina, cercando di non fare rumore. Socchiudi la porta scorrevole. Dalla credenza in alto afferri il pentolino, apri lentamente il rubinetto dell'acqua e lo riempi per metà. Asciughi con cura quelle poche gocce che sono schizzate sul piano di acciaio del lavello. Accendi il gas e rimani lì ad aspettare che l'acqua inizi a scaldarsi appoggiata al tavolo, cingendoti con le braccia le spalle cercando di scaldarti più l’animo che il fisico.

La fiamma azzurrina che brilla e il sibilo sommesso del gas sembrano parlarti.

Il silenzio di questa casa che hai sempre amato non ti è apparso mai così cupo e minaccioso.

C'è stato un tempo, appena sposata, in cui ti piaceva rimanere sveglia nel silenzio della notte. Ti svegliavi, nuda nel letto. Al tuo fianco lui dormiva. Rimanevi ferma ad ascoltare il suo modo di respirare, dopo aver fatto l'amore con te. Dormiva e tu eri felice di saperlo felice, sapevi di avergli regalato una parte di te, del tuo cuore, del tuo corpo, con la passione che ti piaceva dimostrargli. Ti ricambiava, alla sua maniera, come sapeva fare, come fanno molti uomini, ma era felice. Questo tuo uomo, questo compagno che avevi sentito tuo da sempre, perché il suo amore era stato il tuo dal primo momento, lo avevi desiderato subito. L’amore che ti univa a lui era grande, forte, senza compromessi e riempiva tutti i momenti, i pensieri.

Una notte d’estate era nata Marta, dono desiderato e in quel preciso istante avevi raggiunto l’apice, il culmine, l’apogeo della felicità. Non potevi desiderare altro. I tuoi sorrisi si erano moltiplicati, l’amore per lui era raddoppiato, triplicato, centuplicato. Il sogno diveniva realtà: l’amore, una casa, una figlia. Tutto brillava di una luce speciale che faceva del tuo mondo, tutto il mondo. Nulla avrebbe potuto mai intaccare questa felicità. Nulla, tranne una sottile sensazione. Giorno dopo giorno, qualcosa ti turbava sempre più. Ti eri accorta che mancava qualcosa; qualcosa che all’inizio non eri riuscita a mettere a fuoco. Marta cresceva e il tuo corpo ricominciava a prendere le sue forme, il tuo seno aveva riacquistato il suo disegno perfetto, il ventre si appiattiva e i capelli avevano assunto nuovamente i loro riflessi brillanti. Eri di nuovo bella, bella come quando lui ti aveva conosciuto. Ma con il trascorrere dei mesi avevi capito: si era allontanato, ti evitava. Sembrava temerti, evitava quell’amore enorme che univa la figlia al padre e questa alla madre senza alcuna soluzione di continuità, almeno nella normalità. In quella che tu credevi dovesse essere la normalità dell'amore. Andava a letto prima di te o si attardava di fronte a programmi che non aveva mai guardato. Non c’era più un complimento, quel bacio non richiesto. Non c’erano più i suoi teneri abbracci. C’erano, invece, sempre più ritardi, sempre più cene con gli amici. Partite da giocare e ostinati silenzi che avvolgevano le ore che trascorreva di fronte ad uno schermo pieno di sport. Le domeniche si sfilacciavano lente con un lui sempre più preso da giornali finanziari, computer e conti. Sottrazioni, addizioni, calcoli di interessi. Fondi di investimento, azioni, Bot, Cct. Se l’operazione fosse andata a buon fine avreste comprato una macchina nuova, un motorino nuovo o addirittura una casa nuova, continuava a ripetere con quel modo saccente da ragioniere. Purtroppo, avevi compreso, nessun gioco finanziario avrebbe potuto farti riacquistare il suo amore, i suoi abbracci, le sue carezze, la sua voglia di far l’amore con te.

Avevi pianto in silenzio, quando nessuno ti poteva vedere. Non avevi detto nulla a nessuno. Avevi costruito una maschera felice senza macchia. Non avrebbe giovato chiedere aiuto a qualcuno.

Sei tornata in ufficio. Hai iniziato la nuova vita della mamma lavoratrice in una grande città: lasciare la bimba la mattina, correre in ufficio, approfittare della pausa pranzo per fare la spesa, arrivare alla fine della giornata di lavoro, scappare a riprendere la piccola, di filato a casa, preparare la cena, prima per Marta, poi per voi. Una cena da consumare in silenzio con la banale scusa della bimba che dormiva a farvi compagnia. Sistemare la cucina, mettere finalmente a letto la bambina e quindi trovare anche lui già addormentato, magari sul divano del salotto. Rimanevi in silenzio, intontita dalla stanchezza, dalla delusione, dalla rabbia, dalla voglia di prenderlo a pugni, di piangere, di baciarlo, di fare l’amore con lui.

Sono passati gli anni in questo modo, Marta è diventa sempre più grande e tu chiudi i tuoi desideri sempre più in fondo al cuore, dietro quella maschera sempre più amara e facile da indossare. Lui continua ad accumulare i suoi risparmi per la famiglia e guarda la partita il mercoledì sera. Tu lavori, cucini, accudisci la bimba, sistemi casa: tutto normale. Tutto routine.

Fino al giorno in cui lo incontri. Ti ha guardato dritto negli occhi, solo un attimo, solo un secondo. Forse è arrossito, ha abbassato lo sguardo ed è scivolato via senza dire nulla. Lo hai seguito con lo testa mentre attraversava la porta dell’ufficio. C’erano stati altri incontri, sempre simili al primo. Una volta ti aveva anche sorriso, nulla di più, ma quel sorriso sincero e tenero ti aveva illuminato l’intera giornata. Hai dovuto fare la prima mossa, hai chiesto il suo nome al portiere che passando salutava sempre, lo hai cercato nell’elenco aziendale e lo hai invitato a prendere un caffé. Ha accettato ridendo il tuo inaspettato invito.

È stato amore, pazzesco, dolce, divertente, senza nascondimenti. Solo amore. Era tutto perfettamente semplice. Nulla era come avrebbe dovuto essere, se non la voglia di stare insieme, di parlare, di condividere i libri, le poesie, la musica, l’amore che rubavate agli altri, quando sareste dovuti essere da un’altra parte. Quando tutti sapevano che eravate in un luogo dove invece non c’era nessuno.

I tuoi occhi incontravano i suoi, le sue carezze ti riempivano di gioia, i suoi baci, dietro l’orecchio destro, in quel posto che rimarrà per sempre suo, ti facevano rabbrividire e ti riempivano gli occhi di lacrime. Quei momenti, rubati al tempo degli altri, avresti voluto non finissero mai, lo avresti tenuto per sempre stretto a te. Lo amavi come forse neanche lui aveva mai capito. Era speciale, particolare, dolce, forte, capace di gesti semplici che ti riempivano la vita. Sapeva parlare per ore, senza smettere, riusciva ad immaginare una vita che non avreste avuto mai. La viveva quella vita, facendotela vivere tra le sue parole, portandotici dentro, come quando ti faceva correre sulla sua moto. Sicuro, veloce, tenero, quando affrontava una curva, scalando la marcia e accelerando di nuovo per ritrovare il lungo rettilineo.

Così erano i suoi racconti le sue fantasie e tu ti lasciavi scivolare dentro, chiudevi gli occhi e vivevi con lui quella gioia infinita, fatta di sogni, di realtà che potevano essere vere solo a metà. La sua gioia, la voglia di vivere, le piccole manie e le sue idiosincrasie si propagavano in te, donandoti una dimensione nuova. Era tutto nuovo, riusciva ad anticipare desideri che scoprivi di avere solo dopo che lui li aveva soddisfatti. Si avvicinava a te, sempre come se fosse la prima volta. Ti eri accorta, standogli vicino, che gli batteva forte il cuore, che le sue pupille si dilatavano leggermente se ti si avvicinava. Adoravi guardarlo, sentirti toccare dalle sue mani. Il suo profumo ti rimaneva incollato per ore, quando vi lasciavate. Sapevi di essere una bella donna, te lo facevano capire gli sguardi degli uomini quando camminavi per strada, quando ti si affiancavano al motorino, ma sentirtelo dire da lui, così come lo diceva lui: con quell’amore da bambino, con il suo sorriso da uomo, era gioia pura. Ti sentivi bella, eri bella, di nuovo bella, di nuovo desiderata.

Una vita segreta fatta di un amore di parole, che riempivano i messaggi quando la vita reale vi teneva lontani. Sotterfugi da adolescenti per leggere un amore annunciato da una piccola vibrazione del cellulare tenuto nascosto sotto il cuscino. L’attesa impellente di un minuto da sola per trovare il calore dell’amore sul display colorato di blu.

Non avevi più voluto vederlo; non lo volevi più vicino a te. Non gli avevi neanche detto perché. Una frase falsa, tanto per allontanarlo. Avevi chiuso gli occhi e con essi il tuo animo. Non lo volevi più. Aveva fatto di tutto: ti era corso dietro, ti aveva pregato, aveva pianto. Non lo volevi più accanto a te. Ti aveva scritto, telefonato, ti aveva seguito, perseguitato. Non lo hai più voluto vedere. È finita, e questo è tutto.

Era stato dolce, aveva provato la comprensione, l’ira e le urla. Non capiva, ma a te non importava. Lo guardavi, con la tua maschera di nuovo sul viso. Stringevi le labbra e alzavi le spalle senza rispondere. Gli occhi suoi rossi dal sonno che non riusciva a prendere, incrociavano l’azzurro dei tuoi che lo squadravano decisi. Giornate intere a dilaniarsi le anime e i cuori.

Lo incontravi in ufficio, incrociavi il suo sguardo pieno di rancore, di dolore, di amore. Non ti ha più parlato, non c’è più riuscito. Ha inventato anche lui il suo modo per allontanarti, ha inventato un nuovo mondo senza te.

Ti riscuoti, una lacrima scorre lentamente sulla tua guancia. La tazza del caffé, ancora piena, si è ormai raffreddata. Guardi fuori, piove ancora. Ancora silenzio, ancora notte. Non avrebbe potuto capire, non poteva capire. Nessuno avrebbe potuto comprendere. Non c’era nessuno a chi avresti potuto spiegare. Avevi deciso tutto da sola, avevi fatto tutto da sola. Era bastato poco. Un po’ di coraggio.

Avevi sepolto di nuovo tutti i tuoi desideri in fondo al cuore, lo avevi chiuso a doppia mandata. Avevi distrutto tutti i ricordi, le sue fantasie. Avevi gettato via i suoi libri, la sua musica, le sue poesie. Ora lo odiavi. Lo odiavi con tutto il cuore, perché ti aveva insegnato a sognare di nuovo e ti aveva di nuovo fatto sentire bella e desiderata. Ti aveva ricordato come ci si sentiva ad amare ed essere amata. Lo amavi.

Lasci la tazza del caffé sul comodino, a fianco al letto, poggi lentamente la testa sul cuscino. Tuo marito respira lento voltato dall’altra parte. Guardi la sua schiena. Senti Marta girarsi nel lettino, borbottando qualcosa nel sonno, nell’altra stanza.

Ti rannicchi in un angolo nel letto, chiudi gli occhi ormai pieni di lacrime e pensi che nessuno saprà mai che aspettavi un figlio da lui.

venerdì 2 febbraio 2007

il giro del mondo in moto

Marco Deambrogio tipo dalla faccia simpatica che già dalla copertina ispira voglia di bersi una birra insieme. Uno che si è attraversato mezzo pianeta in auto, sugli sci, a piedi. Uno di quelli che definirei "un tipo fico". Un titolo del genere poi, ieri, non poteva non attrarre la mia curiosità su quello scaffale della libreria. A dire il vero ho comprato il libro, quasi senza guardare di cosa parlasse, anche perchè il titolo parla da solo...
Sono bastate poche pagine, quelle fino ad ora lette, per rendermi conto di una cosa: questo tizio parla la mia stessa lingua. Ci sono alcune righe che mi hanno veramente colpito, righe semplici, ma che dicono quello che io da sempre sento dentro: basta con l'ipocrisia di una società votata al consumismo, alla ricerca spietata del guadagno a tutti i costi, basta! Riprendiamoci la nostra vita e cerchiamo di conoscere il resto del mondo per conoscere il resto degli uomini che vivono su questo pianeta, senza pregiudizi, senza prevenzioni. Viaggiamo e conosciamo. Questo signore lo ha fatto, e da solo si è attraversato il mondo con solo due ruote, avventurandosi su strade che proprio facili non devono essere state, da solo.
Abbiamo lo stesso anno di nascita, amiamo gli stessi poeti visto che sul suo sito (http://www.marcodeambrogio.com) Marco come presentazione ha riportato alcune parole fantastiche di Pablo Neruda. Non so se significhi qualcosa, ma sicuramente almeno nell'animo ci assomigliamo, nella voglia di partire, di andare lontano.
Sottolineavo il fatto che Marco ha affrontato in solitario questa impresa, perchè qualche tempo fa, rimasi colpito dalla notizia che Ewan McGregor (Moulin Rouge, Guerre stellari) aveva compiuto una simile impresa in compagnia di Charley Boorman (The bunker, On edge). Comprai il libro appena uscito "The long way round" (Mondadori). Ebbene il giro del mondo, completamente sponsorizzati, era stato compiuto si in moto, ma con due (DUE) fuoristrada di appoggio che li seguivano dappresso, cameramen, organizzazione worldwide... insomma una miserrima operazione economica, con tanto di partenza strappalacrime dalla loro amata Scozia... Ho mollato di leggere il libro a metà dalla rabbia.
Tornando al nostro Marco, invece, da quello che fino ad ora ho capito l'avventura c'è e si vedrà...

Il giro del mondo in moto di Marco Deambrogio (Sperling & Kupfer)