domenica 4 febbraio 2007

Dell'odio, dell' Amore

Il ticchettio ritmico della pioggia, che si appoggiava prepotente alla ringhiera celeste del tuo balcone, ti aveva svegliato nel cuore della notte. Era la prima vera pioggia di quell'inverno ritardatario e pigro. Il gelo che ora fischiava tra le fessure della finestra ti entrava nelle ossa, regalandoti un brivido maligno.

Continuavi a pensarci, anche se avevi fatto di tutto, se ti eri detta tutto quello che ti potevi dire, se ti eri raccontata tutto quello che potevi raccontarti, continuavi a pensarci. Continuavi a pensarlo, ad amarlo, ad odiarlo. Nessun sentimento era escluso. Riuscivi ad odiarlo e un secondo dopo provavi una stretta sincera allo stomaco se qualcosa ti riportava alla mente una sua frase o un modo di fare. Proprio ieri sera, mentre preparavi la cena, Marta era lì dietro di te che pigolava felice, e tu, come al solito, rimestavi nell'odio che ti eri costruita nel cuore tra i piatti e le posate, elencandoti tutti i più giusti motivi per tenerlo lontano; all'improvviso, la piccola, giocando, aveva detto una frase che ti aveva bloccato il respiro per un attimo. Aveva usato le sue stesse parole, quelle parole che dette da lui, decine di volte ti avevano riempito il cuore. Allora come adesso.

Lo rivedevi, con il suo sorriso sincero e aperto aspettarti all'angolo di quella che era divenuta con l’abitudine la “vostra” strada. Seduto su quel muretto di quella via sconosciuta, dietro quel parco cittadino che lui amava tanto. Sentivi il suo profumo mentre si avvicinava per baciarti il collo. Lo vedevi, felice come un bambino, mentre ti guardava aprire il regalo che aveva comprato per te.

Ora, persa nei silenzi immensi di questa piovosa notte romana, guardi fuori dalla finestra del salone, sorvegli dall'alto questa città enorme, mai silenziosa. Nonostante il tempo inclemente e l'ora tarda le automobili continuano a disegnare strisce luminose con i loro fari sull'asfalto bagnato. Lunghe strisce bianche se guardi le auto che provengono da una direzione e rosse se ti concentri su quelle che si dirigono nella direzione opposta.

Ci stai pensando di nuovo. Vai in cucina, cercando di non fare rumore. Socchiudi la porta scorrevole. Dalla credenza in alto afferri il pentolino, apri lentamente il rubinetto dell'acqua e lo riempi per metà. Asciughi con cura quelle poche gocce che sono schizzate sul piano di acciaio del lavello. Accendi il gas e rimani lì ad aspettare che l'acqua inizi a scaldarsi appoggiata al tavolo, cingendoti con le braccia le spalle cercando di scaldarti più l’animo che il fisico.

La fiamma azzurrina che brilla e il sibilo sommesso del gas sembrano parlarti.

Il silenzio di questa casa che hai sempre amato non ti è apparso mai così cupo e minaccioso.

C'è stato un tempo, appena sposata, in cui ti piaceva rimanere sveglia nel silenzio della notte. Ti svegliavi, nuda nel letto. Al tuo fianco lui dormiva. Rimanevi ferma ad ascoltare il suo modo di respirare, dopo aver fatto l'amore con te. Dormiva e tu eri felice di saperlo felice, sapevi di avergli regalato una parte di te, del tuo cuore, del tuo corpo, con la passione che ti piaceva dimostrargli. Ti ricambiava, alla sua maniera, come sapeva fare, come fanno molti uomini, ma era felice. Questo tuo uomo, questo compagno che avevi sentito tuo da sempre, perché il suo amore era stato il tuo dal primo momento, lo avevi desiderato subito. L’amore che ti univa a lui era grande, forte, senza compromessi e riempiva tutti i momenti, i pensieri.

Una notte d’estate era nata Marta, dono desiderato e in quel preciso istante avevi raggiunto l’apice, il culmine, l’apogeo della felicità. Non potevi desiderare altro. I tuoi sorrisi si erano moltiplicati, l’amore per lui era raddoppiato, triplicato, centuplicato. Il sogno diveniva realtà: l’amore, una casa, una figlia. Tutto brillava di una luce speciale che faceva del tuo mondo, tutto il mondo. Nulla avrebbe potuto mai intaccare questa felicità. Nulla, tranne una sottile sensazione. Giorno dopo giorno, qualcosa ti turbava sempre più. Ti eri accorta che mancava qualcosa; qualcosa che all’inizio non eri riuscita a mettere a fuoco. Marta cresceva e il tuo corpo ricominciava a prendere le sue forme, il tuo seno aveva riacquistato il suo disegno perfetto, il ventre si appiattiva e i capelli avevano assunto nuovamente i loro riflessi brillanti. Eri di nuovo bella, bella come quando lui ti aveva conosciuto. Ma con il trascorrere dei mesi avevi capito: si era allontanato, ti evitava. Sembrava temerti, evitava quell’amore enorme che univa la figlia al padre e questa alla madre senza alcuna soluzione di continuità, almeno nella normalità. In quella che tu credevi dovesse essere la normalità dell'amore. Andava a letto prima di te o si attardava di fronte a programmi che non aveva mai guardato. Non c’era più un complimento, quel bacio non richiesto. Non c’erano più i suoi teneri abbracci. C’erano, invece, sempre più ritardi, sempre più cene con gli amici. Partite da giocare e ostinati silenzi che avvolgevano le ore che trascorreva di fronte ad uno schermo pieno di sport. Le domeniche si sfilacciavano lente con un lui sempre più preso da giornali finanziari, computer e conti. Sottrazioni, addizioni, calcoli di interessi. Fondi di investimento, azioni, Bot, Cct. Se l’operazione fosse andata a buon fine avreste comprato una macchina nuova, un motorino nuovo o addirittura una casa nuova, continuava a ripetere con quel modo saccente da ragioniere. Purtroppo, avevi compreso, nessun gioco finanziario avrebbe potuto farti riacquistare il suo amore, i suoi abbracci, le sue carezze, la sua voglia di far l’amore con te.

Avevi pianto in silenzio, quando nessuno ti poteva vedere. Non avevi detto nulla a nessuno. Avevi costruito una maschera felice senza macchia. Non avrebbe giovato chiedere aiuto a qualcuno.

Sei tornata in ufficio. Hai iniziato la nuova vita della mamma lavoratrice in una grande città: lasciare la bimba la mattina, correre in ufficio, approfittare della pausa pranzo per fare la spesa, arrivare alla fine della giornata di lavoro, scappare a riprendere la piccola, di filato a casa, preparare la cena, prima per Marta, poi per voi. Una cena da consumare in silenzio con la banale scusa della bimba che dormiva a farvi compagnia. Sistemare la cucina, mettere finalmente a letto la bambina e quindi trovare anche lui già addormentato, magari sul divano del salotto. Rimanevi in silenzio, intontita dalla stanchezza, dalla delusione, dalla rabbia, dalla voglia di prenderlo a pugni, di piangere, di baciarlo, di fare l’amore con lui.

Sono passati gli anni in questo modo, Marta è diventa sempre più grande e tu chiudi i tuoi desideri sempre più in fondo al cuore, dietro quella maschera sempre più amara e facile da indossare. Lui continua ad accumulare i suoi risparmi per la famiglia e guarda la partita il mercoledì sera. Tu lavori, cucini, accudisci la bimba, sistemi casa: tutto normale. Tutto routine.

Fino al giorno in cui lo incontri. Ti ha guardato dritto negli occhi, solo un attimo, solo un secondo. Forse è arrossito, ha abbassato lo sguardo ed è scivolato via senza dire nulla. Lo hai seguito con lo testa mentre attraversava la porta dell’ufficio. C’erano stati altri incontri, sempre simili al primo. Una volta ti aveva anche sorriso, nulla di più, ma quel sorriso sincero e tenero ti aveva illuminato l’intera giornata. Hai dovuto fare la prima mossa, hai chiesto il suo nome al portiere che passando salutava sempre, lo hai cercato nell’elenco aziendale e lo hai invitato a prendere un caffé. Ha accettato ridendo il tuo inaspettato invito.

È stato amore, pazzesco, dolce, divertente, senza nascondimenti. Solo amore. Era tutto perfettamente semplice. Nulla era come avrebbe dovuto essere, se non la voglia di stare insieme, di parlare, di condividere i libri, le poesie, la musica, l’amore che rubavate agli altri, quando sareste dovuti essere da un’altra parte. Quando tutti sapevano che eravate in un luogo dove invece non c’era nessuno.

I tuoi occhi incontravano i suoi, le sue carezze ti riempivano di gioia, i suoi baci, dietro l’orecchio destro, in quel posto che rimarrà per sempre suo, ti facevano rabbrividire e ti riempivano gli occhi di lacrime. Quei momenti, rubati al tempo degli altri, avresti voluto non finissero mai, lo avresti tenuto per sempre stretto a te. Lo amavi come forse neanche lui aveva mai capito. Era speciale, particolare, dolce, forte, capace di gesti semplici che ti riempivano la vita. Sapeva parlare per ore, senza smettere, riusciva ad immaginare una vita che non avreste avuto mai. La viveva quella vita, facendotela vivere tra le sue parole, portandotici dentro, come quando ti faceva correre sulla sua moto. Sicuro, veloce, tenero, quando affrontava una curva, scalando la marcia e accelerando di nuovo per ritrovare il lungo rettilineo.

Così erano i suoi racconti le sue fantasie e tu ti lasciavi scivolare dentro, chiudevi gli occhi e vivevi con lui quella gioia infinita, fatta di sogni, di realtà che potevano essere vere solo a metà. La sua gioia, la voglia di vivere, le piccole manie e le sue idiosincrasie si propagavano in te, donandoti una dimensione nuova. Era tutto nuovo, riusciva ad anticipare desideri che scoprivi di avere solo dopo che lui li aveva soddisfatti. Si avvicinava a te, sempre come se fosse la prima volta. Ti eri accorta, standogli vicino, che gli batteva forte il cuore, che le sue pupille si dilatavano leggermente se ti si avvicinava. Adoravi guardarlo, sentirti toccare dalle sue mani. Il suo profumo ti rimaneva incollato per ore, quando vi lasciavate. Sapevi di essere una bella donna, te lo facevano capire gli sguardi degli uomini quando camminavi per strada, quando ti si affiancavano al motorino, ma sentirtelo dire da lui, così come lo diceva lui: con quell’amore da bambino, con il suo sorriso da uomo, era gioia pura. Ti sentivi bella, eri bella, di nuovo bella, di nuovo desiderata.

Una vita segreta fatta di un amore di parole, che riempivano i messaggi quando la vita reale vi teneva lontani. Sotterfugi da adolescenti per leggere un amore annunciato da una piccola vibrazione del cellulare tenuto nascosto sotto il cuscino. L’attesa impellente di un minuto da sola per trovare il calore dell’amore sul display colorato di blu.

Non avevi più voluto vederlo; non lo volevi più vicino a te. Non gli avevi neanche detto perché. Una frase falsa, tanto per allontanarlo. Avevi chiuso gli occhi e con essi il tuo animo. Non lo volevi più. Aveva fatto di tutto: ti era corso dietro, ti aveva pregato, aveva pianto. Non lo volevi più accanto a te. Ti aveva scritto, telefonato, ti aveva seguito, perseguitato. Non lo hai più voluto vedere. È finita, e questo è tutto.

Era stato dolce, aveva provato la comprensione, l’ira e le urla. Non capiva, ma a te non importava. Lo guardavi, con la tua maschera di nuovo sul viso. Stringevi le labbra e alzavi le spalle senza rispondere. Gli occhi suoi rossi dal sonno che non riusciva a prendere, incrociavano l’azzurro dei tuoi che lo squadravano decisi. Giornate intere a dilaniarsi le anime e i cuori.

Lo incontravi in ufficio, incrociavi il suo sguardo pieno di rancore, di dolore, di amore. Non ti ha più parlato, non c’è più riuscito. Ha inventato anche lui il suo modo per allontanarti, ha inventato un nuovo mondo senza te.

Ti riscuoti, una lacrima scorre lentamente sulla tua guancia. La tazza del caffé, ancora piena, si è ormai raffreddata. Guardi fuori, piove ancora. Ancora silenzio, ancora notte. Non avrebbe potuto capire, non poteva capire. Nessuno avrebbe potuto comprendere. Non c’era nessuno a chi avresti potuto spiegare. Avevi deciso tutto da sola, avevi fatto tutto da sola. Era bastato poco. Un po’ di coraggio.

Avevi sepolto di nuovo tutti i tuoi desideri in fondo al cuore, lo avevi chiuso a doppia mandata. Avevi distrutto tutti i ricordi, le sue fantasie. Avevi gettato via i suoi libri, la sua musica, le sue poesie. Ora lo odiavi. Lo odiavi con tutto il cuore, perché ti aveva insegnato a sognare di nuovo e ti aveva di nuovo fatto sentire bella e desiderata. Ti aveva ricordato come ci si sentiva ad amare ed essere amata. Lo amavi.

Lasci la tazza del caffé sul comodino, a fianco al letto, poggi lentamente la testa sul cuscino. Tuo marito respira lento voltato dall’altra parte. Guardi la sua schiena. Senti Marta girarsi nel lettino, borbottando qualcosa nel sonno, nell’altra stanza.

Ti rannicchi in un angolo nel letto, chiudi gli occhi ormai pieni di lacrime e pensi che nessuno saprà mai che aspettavi un figlio da lui.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao Pierpaolo,
ti scrivo come mi avevi chiesto. Sai una cosa? Credo che hai visto tutto nel modo giusto. Te lo dico sinceramente come donna che sa cosa significa quello che hai scritto. Mi piacciono alcune immagini che usi. Lo stile poi non si inceppa ma scorre fluido, senza interruzioni. L'analisi psicologica del personaggio femminile rende bene la figura di questa donna: sogni desideri poi soffocati. Sì, è tutto molto realistico. E questo è a tua lode, visto che sei un uomo.

Ti abbraccio
Marilena